La storia di Google parte con un refuso nel nome. La trascrizione corretta del numero evocato al momento del battesimo del motore più famoso del mondo è googol: 1 seguito da 100 zeri. La leggenda vuole che il nome del numero sia stato coniato da Milton Sirotta, il nipote di 9 anni del matematico Kasner; il vantaggio dei bambini è quello di non essere consapevoli delle conseguenze marketing delle loro confabulazioni. Nella teoria dei giochi questo valore enorme rappresenta la matrice di possibilità di una partita a scacchi quando si è raggiunto il massimo della sua apertura, a metà della sfida. Il valore N della matrice torna poi a decrescere, fino a toccare lo zero con lo scacco matto. Googol è quindi un numero finito ma non calcolabile di possibilità. La hybris di Page e Brin è stata consumata nella decisione di intrappolare una quantità googol di dati in un computer, per poterli manipolare con un algoritmo capace di elaborare risposte rilevanti per le domande degli utenti web.
Il nome di questo numero compare nella storia in un’altra circostanza drammatica collegata all’informatica: l’adozione da parte dei nazisti della macchina di Scherbius – detta Enigma – per crittografare i messaggi militari. I tre rotori standard che attivavano la cifratura segreta erano in grado di produrre 300 milioni di milioni di googol di configurazioni diverse. Questa complessità aveva convinto le autorità tedesche dell’inviolabilità del loro codice; ma tra il 1942 e il 1943 il matematico inglese Alan Turing collabora all’individuazione di un dispositivo che permette di decrittare i messaggi con successo. Il sistema non procede al calcolo seriale di tutte le possibili chiavi, ma applica una strategia che scova le ridondanze nascoste nelle comunicazioni del nemico, in particolare i dispacci meteo.
Googol è un numero sempre connesso ad una strategia: lo svolgimento delle partite di scacchi, la predizione dei giudizi di rilevanza, la mantica delle ridondanze nei messaggi crittografati. Il suo valore è quello di indicare la vastità delle conoscenze che non si possiedono per prendere la decisione che si deve assumere; la sua apparizione rinvia all’arte dell’ipotesi, all’occhio clinico dell’esperto, all’istinto della verità che si chiama intelligenza, alla responsabilità per gli effetti ontologici delle proprie scelte in situazioni di incertezza – che è l’altro lato dell’intelligenza.
La strategia classica di Google è stata quella di ancorare l’algoritmo della decisione all’impegno cognitivo ed etico che i webmaster accettano nel momento in cui inseriscono i link nelle loro pagine. Un link è paragonabile ad una citazione digitale; ma rispetto ai richiami che compaiono nei libri o nelle riviste, quelli che figurano nelle pagine elettroniche mandano l’utente sulla pagina evocata, con il rischio che non torni più indietro. Il “costo” del link in termini di fiducia nel valore della pagina richiamata, e del rischio di perdita del lettore, hanno assicurato per anni la solidità delle attribuzioni di rilevanza operate dal software.
Da anni Google però accumula googol di dati anche sui comportamenti degli utenti, oltre che sui contenuti delle pagine web. Il grafo delle relazioni tra i lettori ha guadagnato un’importanza via via crescente, ora persino superiore al grafo dei rapporti tra link e pagine. Panda è il nome in codice della rivoluzione che nel 2011 sta introducendo i giudizi espliciti degli utenti sui contenuti nel calcolo della rilevanza delle pagine che li ospitano. L’espressione dei lettori viene catturata sia in modo diretto, tramite la raccolta delle raccomandazioni con servizi come HotPot o Places, o tramite la votazione +1; oppure può essere intercettata in modo indiretto, attraverso i clic compiuti durante la navigazione. I contenuti di qualità sono in estinzione, sotto la minaccia di invasione dello scraping compiuto dalle content farm – e devono essere protetti da Google come i teneri panda dai feroci bracconieri. Il panda è l’animale mite, candido come l’interfaccia di Google – e con macchie scure, come molti lati della nuova strategia di Google. Come accade in Facebook, Google non conosce solo gli interessi dei singoli utenti, ma anche la loro capacità effettiva di influenzare le scelte di chi appartiene al loro grafo sociale. Ma anche più di Facebook è in grado di incrementare questo potere di influenza, dal momento che nell’alveo di Panda le scelte degli “amici” intervengono nei processi di personalizzazione dei listati di risposta del motore di ricerca. L’informazione della realtà si disegna sempre più sul contorno delle opinioni di chi esercita la maggiore forza persuasiva all’interno della nicchia tematica e sociale in cui si è iscritti.
Googol è il nome di tutto quello che non sappiamo ormai in quasi tutte le circostanze in cui prendiamo una decisione. Google è il nome del dispositivo che ci fornisce il quadro maneggevole delle risposte in cui possiamo muoversi e assumere una decisione. Il Panda che odia le content farm, ma che ama i googol di dati di Google, sarà il nome del vettore della microfisica del potere (reale) che guiderà le nostre scelte – sarà sua la zampa invisibile cui affideremo la nostra vita, la nostra esperienza, il nostro lavoro, i nostri affetti?