«Se vuole tornare a crescere l’Italia ha bisogno di forti riforme strutturali. Nel campo dell’approvvigionamento energetico, per esempio. O nel mercato del lavoro e delle relazioni industriali. Ci sono poi i settori della ricerca scientifica, dell’istruzione in generale e delle nuove tecnologie. Tutte aree nelle quali l’Italia deve impegnarsi in uno sforzo particolare se non vuole diventare il fanalino di coda dei paesi sviluppati».
“Cos’è, l’ultimo editoriale dell’Economist dedicato al nostro paese?” chiederete giustamente voi. Magari. Quello che avete appena letto è infatti uno stralcio tratto dal dossier segreto The Outlook for Italy stilato dai funzionari dell’ambasciata britannica a Roma e dagli 007 dell’MI6 per il Joint Intelligence Committee, la commissione parlamentare di controllo dei servizi segreti di Sua Maestà. Non oggi ma nel 1980. Il rapporto, scaduto il trentennale segreto di Stato, è stato in parte reso pubblico presso i National Archives di Londra.
Ora, so che nell’anno domini di WikiLeaks trovarsi di fronte a questo tipo di documenti ha indubbiamente perso un bel po’ di smalto. Il mio, non a caso, è un intento più che altro storico. L’altro giorno Luca Ricolfi – in un editoriale pubblicato su La Stampa – si domandava giustamente come mai, nonostante la diagnosi sul malato Italia sia ormai passata al vaglio di terze, quarte e quinte opinioni, cure serie non se ne vedano ancora all’orizzonte. Il suo condivisibile punto di vista è spiegato molto bene nell’articolo. A me preme sottolineare un piccolo particolare: già 30 anni fa, ovvero in tempi non sospetti, i sintomi del malanno erano più che evidenti.
«Le analisi – continua il dossier – mostrano che il successo dell’esportazione italiana negli anni Settanta si è basato principalmente su prodotti tradizionali low-tech, particolarmente esposti dunque alla competizione dei paesi del terzo mondo. E se la vitalità delle aziende italiane, specie piccole e medie, va spiegata con un innegabile vigore del settore privato, in parte si deve all’importante ruolo giocato dall’economia sommersa». Il tema del nero interessa particolarmente Londra. Che significa? Che impatto ha sull’economia e la società in generale?
Secondo gli analisti del ministero degli Esteri britannico il nero, stimato nel 15% del peso totale dell’economia, esiste perché può operare «al di fuori delle rigide leggi del mercato del lavoro» e, visto la sua natura «flessibile», è stato capace di sostenere il paese quando altri settori più «ortodossi» della produzione venivano colpiti dalle crisi «cicliche». Son passati sei lustri ed è facile vedere come oltre al nero la “politi-comia” italiana, per non tirare le cuoia, si sia appoggiata al suo biondo fratellino, il precariato. Alla base di tutto, va da sé, c’è la stellare capacità italica di far finta di niente, rimandare a domani quello che avremmo dovuto fare la scorsa settimana, consolarci con un piatto di cozze alla tarantina. Che per carità, possano non mancarci mai.
E’ quindi palese che gli spioni della Regina puntino il dito contro la politica. «Governi deboli, nuove generazioni alienate, irrisolta questione del terrorismo, solida base di sostegno per il PCI (il muro non è ancora caduto, ndr). Presi nel loro insieme questi elementi suggeriscono l’idea che il sistema italiano sia ad alto rischio». In realtà gli analisti non vedono «nel medio periodo» rischi per la democrazia italiana e il suo ruolo nella «UE» o nella «NATO». Giudizio che, avvertono, è basato sulla «comprovata abilità degli italiani a tirare avanti pur senza soluzioni ai loro gravi problemi più che a un avanzamento verso un equilibrio sociale e politico». Franza o Spagna purché se magna, insomma. Un altro passaggio, visto le cronache odierne, mi pare illuminante. Quello dedicato agli «scandali» – era l’epoca dell’affaire Donat-Cattin. Il dossier è lapidario: «Possono accadere in ogni momento, al di là dell’agenda politica del momento e sono parte integrante del sistema. Gli italiani hanno semplicemente imparato ad accettarli come un fatto della vita».
Nel mentre il comunismo è scomparso, la Cina è la seconda potenza economica del pianeta, internet e le tecnologie digitali a basso costo hanno sconvolto ogni cosa e il mondo si sta dirigendo di già verso la post-globalizzazione. Non so, andando a spanne mi pare evidente che la fase del cazzeggio sia terminata da un po’.