In una strada della periferia di Bucarest, vanno in scena ambizioni e contraddizioni della società rumena, a vent’anni dalla fine del comunismo.
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Una villa appena costruita, dal profilo candido, sta a pochi metri dallo scheletro di un’altra casa, mai conclusa e abbandonata. La viuzza che collega i due edifici gemelli, tra un orto e un campo incolto, è a malapena asfaltata. Non si vedono lampioni o altri sistemi di illuminazione pubblica. In compenso si scorge il profilo di una cuccia, al piano terra della villa incompiuta.
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Ha un sapore strano, in questa strada, il suburbio. Questo mito statunitense, aspirazione a una casa unifamiliare con giardino, parcheggio e cane, meglio se con vicini mono etnici e magari entro un’area cintata, si è affermato con forza in Romania, dal 1989 fino alla crisi immobiliare del 2008-9. Con forza, anzi: con superbia.
Superbia suburbia è il titolo del progetto con cui la Romania si è presentata a Venezia alla Biennale di architettura 2010. Tante le domande che accompagnavano quell’esposizione, come quest’immagine di Google street view. Una su tutte: fino a che punto il desiderio di un’abitazione diversa dai deprimenti palazzoni d’epoca sovietica – desiderio più che legittimo – può giustificare l’abbandono dello spazio pubblico?
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Persone in giro a piedi, in questa corea di Bucarest, non se ne vedono. Poi, però, basta fare pochi passi (virtuali) nel quartiere, per ritrovare un’anima diversa. Quella di chi la strada la vive, eccome. Tanto da usarla come officina a cielo aperto. Per smontare e rimontare, in modo un po’ sospetto, camion, automobili e furgoni.
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