Secondo i fautori del rappel à l’ordre nella scuola italiana già richiamato nel post precedente, uno degli strumenti da usare per accentuare il carattere selettivo e tornare a un maggior rigore nella scuola italiana è la bocciatura. L’argomentazione è semplice e suona più o meno così: “Bisogna far capire agli studenti che la scuola è una cosa seria. E dunque è giusto bocciarli se non hanno imparato. Basta con le promozioni generalizzate che premiano anche chi non sa nulla”.
Posizione lineare e di sicura presa: richiama impegno e merito come valori fondanti. In un’ottica punitiva, l’assunto è che la bocciatura abbia un effetto deterrente rispetto allo scarso impegno. In un’ottica migliorativa, l’idea è che una bocciatura ti allinea con chi ne sa quanto te di modo che da quel momento in avanti tu possa tornare ad apprendere regolarmente.
In pratica, la bocciatura e il conseguente ritardo scolastico, hanno un valore educativo. Tutto bene dunque? Beh, non proprio, dato che il valore educativo della bocciatura è poco più che un mito.
Guardiamo qualche dato?
Innanzitutto l’entità del fenomeno. Dai dati del MIUR si scopre che durante il periodo dell’obbligo scolastico i ritardi scolastici arrivano in media al 25% nei primi due anni di scuola secondaria superiore (con percentuali differenziate per indirizzi scolastici: meno nei licei, più nei tecnici e professionali). E’, però, già nella scuola media (secondaria di primo grado) che cominciano a manifestarsi in modo significativo, giungendo fino al 10%, dopo essere rimasti molto contenuti alle elementari (4% circa).
È importante riflettere innanzitutto sulle bocciature (o ritardi scolastici) alle medie perché come ha dimostrato Daniele Checchi in una sua ricerca su dati Isfol-Plus 2006, manifestare delle difficoltà scolastiche nei primi ordini di scuola vuol dire avere il 23% (14,5% per la generazione più giovane) di probabilità in più rispetto a un individuo con percorso regolare di non conseguire un diploma di maturità (drop-out). In pratica, i ritardi sono dei predittori significativi dell’uscita dal sistema scolastico al termine dell’obbligo senza conseguire un diploma. E per un paese che si attesta su percentuali di drop-out dell’ordine del 18-20% contro una media europea del 10% questo è un bel problema.
Peraltro già questo ci dice quanto sia fondata l’idea del valore educativo della bocciatura. Ma non ci basta.
E allora andiamo a vedere quali sono i fattori che incidono sulla probabilità di essere bocciato. In una ricerca i cui risultati principali sono recentemente stati anticipati da La Stampa, siamo andati a identificare i fattori di rischio e quelli di “protezione” per gli adolescenti della secondaria di I grado. In particolare ci siamo concentrati sulle caratteristiche socio-demografiche e familiari e, grazie alle informazioni contenute nell’indagine internazionale HBSC (Health Behavior in School-aged Children) abbiamo scoperto che, in media, lo studente con percorso di studi irregolare è maschio e ha un background socio-economico e culturale svantaggiato e spesso è di origine straniera. In particolare, uno studente di seconda generazione (figlio di stranieri nato in Italia) arriva alle scuole medie senza un condizione di ritardo statisticamente diversa da quella di un italiano. Ma entro la III media la sua probabilità di perdere uno o più anni per strada cresce fino a diventare di 3,5 volte superiore a quella di un suo compagno di classe italiano. Purtroppo ancora più accentuato è il divario tra italiani e studenti figli di stranieri arrivati in Italia in età scolare (la cosiddetta generazione 1,5): la probabilità di essere in ritardo in I media è di circa 18 volte superiore a quella di un italiano, 19 volte in III media!
Ciò in parte si spiega in ragione dei problemi linguistici e di adattamento al nuovo contesto che ostacolano i giovani stranieri i quali hanno bisogno di più tempo per trovare il giusto ritmo scolastico. L’enorme differenziale di rischio è, però, anche frutto di una pratica didattico-organizzativa che le scuole hanno messo in campo in assenza di direttive con l’arrivo dei primi giovani immigrati e che il Ministero ha ratificato a posteriori: i nuovi arrivati vengono spesso inseriti in classi non corrispondenti all’età anagrafica, e inferiori ad essa, cumulando così un ritardo scolastico, rispetto ai coetanei di uno, due o più anni. Tutto questo in assenza di altre forme di sostegno specifico alle difficoltà che i ragazzi di origine straniera – anche quando bene integrati nella loro classe – possono incontrare nello studio. Gli effetti particolarmente negativi sul diritto di tutti i ragazzi della scuola dell’obbligo a beneficiare di pari opportunità di apprendimento sono ora sotto gli occhi di tutti.
Dunque, l’identikit del bocciato è chiaro è ben definito. E il talento scolastico o il merito pare non entrino affatto nella sua definizione.
Se guardiamo poi agli apprendimenti di chi ha un percorso irregolare (bocciati o comunque in ritardo scolastico) rispetto a chi ha un percorso di studi regolari, troviamo che l’altra argomentazione, quella secondo la quale ripetere uno o più anni fa bene, è ancora più infondata.
Se si stima un modello di apprendimento sui dati del campione sel Servizio Nazionale di Valutazione INVALSI 2009/10 in I media si vede che – pur dopo aver tenuto conto delle caratteristiche socio-demografiche e territoriali – chi è indietro con gli studi risponde correttamente al 7,5% delle domande in meno nella prova di Italiano rispetto a chi ha un percorso di studi regolari, e al 7,7% delle domande in meno nella prova di matematica. Il mancato recupero è confermato anche dalle analisi svolte a livello internazionale su dati OECD-Pisa e TIMSS ed è ben noto in letteratura.
Ma c’era poi bisogno di tutta questa messe di evidenza empirica per giungere alla conclusione che bocciare non serve?
Forse no, se già Don Milani e i suoi ragazzi di Barbiana nel 1967 sostenevano che bocciare nella scuola dell’obbligo non è una soluzione ai problemi degli studenti in difficoltà e che “le difficoltà andavano recuperate, non punite”.
E allora perché le bocciature e i richiami a un inasprimento di questa pratica possono essere popolari?
Beh, forse per i motivi finto-nostalgici di cui abbiamo già parlato. La bocciatura mette d’accordo chi vuole (a qualsiasi livello) una scuola più selettiva e di classe, e quegli insegnanti che, anziché farsi carico dei bisogni specifici d’apprendimento di ogni allievo, preferiscono chiedere agli allievi di adeguarsi ai propri standard. Di modo che, bocciatura dopo bocciatura, non possano finalmente avere la classe che desiderano: quella con gli studenti ai quali non hanno bisogno di insegnar nulla.