“Giustizia è fatta”. E’ l’espressione più forte, immediatamente ripresa dai media di tutto il mondo, con cui Barack Obama ha presentato all’America l’eliminazione di Osama bin Laden. “Giustizia” è la parola che si è più ascoltata, nella notte che è seguita all’annuncio del presidente americano. L’hanno ripetuta in molti, analisti, politici, cittadini che festeggiavano fuori della Casa Bianca, a Ground Zero, in tante parti d’America. L’assassinio di Osama sarebbe stato un atto di “giustizia”, ma anche un momento di “closure”, di “chiusura” di un’epoca tragica della storia del mondo, quella segnata dagli attentati alle Due Torri e dalla war on terror scatenata dagli Stati Uniti.
Andando avanti nella notte, quelle due parole, “giustizia” e “chiusura”, apparivano però – almeno al sottoscritto – sempre più incerte, scivolose, parziali. Pare strano infatti parlare di giustizia, di fronte a festeggiamenti da stadio per l’eliminazione di un uomo, sia pure esso un criminale come bin Laden (un amico, l’americanista Matteo Ceschi, mi ha fatto notare come Youtube abbia dovuto censurare molti post che descrivevano la festa per l’uccisione di Osama. Che c’era in quelle immagini? Festeggiamenti troppo espliciti? Espressioni troppo crude? Accenni di islamofobia?)
Pare strano, ancora, parlare di giustizia, di fronte a una guerra durata dieci anni, che ha ucciso milioni di persone – iracheni, afgani, pakistani, oltre ai soldati americani che in questi paesi hanno combattuto – che ha fatto milioni di orfani, che ha sradicato dalle loro comunità milioni di persone, che ha sconvolto la politica e la diplomazia dell’intero globo, e che si conclude, ironicamente, con un’operazione per una volta davvero chirurgica, precisa, veloce, condotta da 14 agenti scelti senza spargimento di sangue esterno.
Pare strano parlare di giustizia, per l’eliminazione di un “simbolo del male” che, quasi nessuno lo ha ricordato in queste ore, nasce come creatura degli Stati Uniti e della CIA, per opporsi all’invasione dell’Afghanistan nel 1979 (per chi volesse recuperare quei fatti, vale la pena suggerire ancora un libro prezioso di qualche anno fa, Una guerra empia di John Cooley, che dettaglia la guerra santa della CIA in collaborazione con i militanti islamici).
E pare strano parlare di “chiusura di un’epoca”, di palingenesi politica, morale, affettiva provocata dall’eliminazione di bin Laden, quando il presidente democratico di oggi continua a fare quasi tutto quello che faceva il suo predecessore repubblicano: la guerra in Afghanistan e in Pakistan; una politica che dà il via libera alle missioni segrete della CIA, che tiene aperto Guantanamo, che si basa sempre e comunque sull’eccezionalismo americano (“stasera ancora una volta ci viene ricordato che l’America può fare ciò che desidera”, ha detto Obama annunciando l’uccisione di bin Laden).
Non era probabilmente giustizia, né chiusura di un’epoca, quello cui abbiamo assistito mentre si faceva alba in America. Più realisticamente era vendetta, e un nuovo episodio, non l’ultimo, di una guerra ancora lunga e incerta.