L’ironia sorniona di Nanni Moretti, che in Habemus Papam si diverte tantissimo a trattare i cardinali in Vaticano come una scolaresca in gita di classe (diremmo una prima media, visto che non sono abbastanza autonomi nemmeno per farsi una canna, ma al massimo per prendere psicofarmaci messi in valigia dalla mamma) risponde a una strategia psicologica precisa che soddisfa non tanto l’esigenza di traumatizzare il pubblico quanto l’impulso all’auto-terapia del regista: la demitizzazione del nemico. È un po’ – fatti distinguo e proporzioni – ciò che la cronaca del Bunga Bunga fa con l’altro nemico dello stesso Moretti: ridurlo all’immagine di povero vecchio patetico privo di autocontrollo, altro che grande manipolatore di popoli e legislature. Si regalano attimi di godimento ai detrattori che vogliono sentirsi umanamente e intellettivamente superiori.
Peccato che, nell’uno o nell’altro caso, si finisca anche per attribuire all’oggetto della critica un colore di caricatura che lo fa apparire tutto sommato innocuo su larga scala, mentre ci si dimentica di analizzare davvero gli effetti devastanti dei suoi contraddittori (chiamiamoli così) atti ufficiali. Certo proviamo un certo sollievo, noi che temevamo che i cardinali fossero giorno e notte impegnati in manovre subdole per sfruttare economicamente e politicamente la fede dei credenti, nel constatare che in fondo non hanno bisogno d’altro che un torneo di pallavolo e un buon cappuccino. E certo, è comprensibile l’intento di Moretti che da sempre cerca nella sottolineatura del tragicomico il mezzo per denunciare, senza apparire aggressivo e fazioso oltremisura, l’equivoco di certi regimi. Ma il risultato, volontario o no, è che i regimi in questione finiscono per farci meno paura, troppo poca, fino al rischio di sottovalutarli, perché per i cardinali affetti da regressione adolescenziale riusciamo a provare compatimento, forse, ma non riusciamo a farceli stare davvero antipatici.
Come ne Il caimano a uscirne con le ossa rotte era più l’elettorato berlusconiano che Berlusconi medesimo, in Habemus Papam le uniche immagini davvero inquietanti sono quelle della massa di fedeli in versione ultras in Piazza S.Pietro. E in piedi resta quasi solo la responsabilità dei fedeli stessi (a dar credito a questi bambinoni di papi e cardinali) e non quella del Vaticano (peraltro rappresentato da un Papa capace di mettere in discussione il dogma più di quanto facciano i suoi seguaci), e la critica finisce per colpire il Cristianesimo prima che l’istituzione Chiesa.
Ok, è angosciante che tanta gente “disperatamente bisognosa di sperare” stia accampata in quella piazza mentre all’interno si gioca a carte, ma forse Moretti dimentica di completare il quadro, come fa invece il piccolo I baci mai dati, di Roberta Torre, uscito quasi in contemporanea. Un film, quest’ultimo, fortemente imperfetto, eppure capace di restarti addosso perché stavolta, seppure a un livello molto più basso (una Sicilia dove la povera gente si convince che una tredicenne sia in grado di fare miracoli e la paga per ottenere la grazia), il meccanismo è descritto più direttamente. Qui lo sfruttamento economico della fede si vede eccome. E qui la protagonista, all’affermazione della madre che si giustifica dicendo proprio che “la gente ha bisogno di sperare”, la giovane protagonista dà la risposta schietta che Moretti, per eccesso di eleganza, fornisce con meno decisione: “sperare non è la stessa cosa che essere presi per i fondelli”.