Uno dei modi in voga per parlare del paesaggio italiano, per spiegarne una certa condizione, è quello di usare come chiave l’economia molecolare e la città diffusa, magari citando per l’ennesima volta i non-luoghi, per finire il discorso. Comunque sia, quel che è certo è che il Bel Paese è affollato di fabbricati, spesso pre-fabbricati, di nessun valore architettonico e che nessuno può toccare, cioè demolire, per svariate ragioni, seppur oggi nella maggior parte dei casi non incorporino più quella funzione produttiva, unica ragione per cui, a suo tempo, se ne è concessa la costruzione.
Noi diremmo che è un certa complicità spiccia e pragmatica, poco previdente, tra privati e amministrazione, guidati dalla sola idea del profitto, che hanno prodotto un certo scempio, e che ancora tutt’oggi trova sempre nuove forme per perpetuarsi.
Capannone senza padrone è il titolo del workshop che si è svolto la settimana scorsa nella bellissima sede della Fondazione Francesco Fabbri a Pieve di Soligo in Veneto, parte del programma della quarta edizione del Festival CIttà Impresa, iniziativa nella prospettiva di una prossima candidatura del Nordest a Capitale Europea della Cultura 2019.
Hanno partecipato varie Facoltà di Architettura rappresentate dai loro docenti paesaggisti: Venezia, Reggio Calabria, Trento, Ferrara, Alghero, Siracusa – distaccamento di Catania, Trieste e da due gruppi di ricerca autonomi: Lo-Fi Architecture e Cibic Workshop. Il workshop ha prodotto idee e progetti che rimarranno in mostra per qualche tempo presso la stessa sede della fondazione. Un tentativo di raccogliere qualche idea da architetti in corso di formazione, messi insieme per una buona causa e anche un po’ in competizione.
La Fondazione Fabbri così, insieme alle facoltà che hanno partecipato al workshop, promuoverà un “patto per il paesaggio”, una promessa di intenti da condividere volentieri con altre istituzioni e soggetti del territorio e della Regione Veneto.
Come recuperare un paesaggio squalificato dalla presenza dei capanonni? Un paesaggio in cui alle meravigliose vedute si alternano gli orrori piccoli e diffusi della peggiore speculazione edilizia legalizzata, spettro ormai non tanto della crisi ma di regole di produzione variate, insomma di un modello sorpassato e poco previdente?
Nella giornata di chiusura di sabato, oltre ai partecipanti al workshop, si sono aggiunte personalità di tutto rilievo, raccolte dalla sottile regia di Claudio Bertorelli e Franco Zagari, con l’aiuto per la giornata di Mario Lupano e Roberto Zancan, per fare dei nomi. Fra tutti Franco Farinelli, in teleconferenza causa rottura non prevista della gamba, e Paolo Burgi, architetto paesaggista svizzero di esemplare umiltà e bravura.
A fine giornata la chiusura folgorante di Vitaliano Trevisan, con parole solo in parte dal suo ultimo libro Tristissimi Giardini, accompagnato dal sax di Ettore Martin: un reading dal titolo emblematico:Tempo. E metodo. Quello che ci vuole perchè qualcosa cambi...
Non c’è insegnamento migliore per tutti. Chi ce lo darà il metodo? Ce ne è davvero tanto bisogno.