Ascoltare le notizie provenienti da Israele deve essere di una monotonia incredibile in quanto, da quarant’anni si sentono ripetere la stesse cose, slogans privi di contenuto reale che continuano a ripetersi, senza un pensiero innovativo che possa riuscire a sbloccare la situazione.
Sono arrivata in questo paese il 7 Giugno 1967, terzo giorno della Guerra dei Sei Giorni ad aiutare, nel lavoro dei campi in un kibbutz. Dalla fine di quella guerra ho atteso il ritiro dai territori occupati, ero certa che si sarebbe ben presto arrivati ad una giusta soluzione. Dopo piu’ di quarant’anni sto ancora aspettando.
Le due deliberazioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la 242 e la 338 decisero che la soluzione sarebbe stata il ritiro delle truppe israeliane dai o da ( a seconda della lingua usata nel testo) territori occupati, fino alle linee di armistizio definite con gli accordi di Rodi del 1949, quelli che sono usualmente chiamati le frontiere del 1967. La soluzione dei due Stati era quella che sembrava la sola possibile.
La vittoria e’ come un ubriachezza di massa pompata ancor piu’ dagli interessi del potere. Nel periodo seguente alla Guerra dei Sei Giorni un’euforia si sparse nel paese dovuta al fatto di aver conquistato zone del paese strettamente legate alla tradizione bibblica: il Muro occidentale (detto del Pianto), Hevron con le Tombe dei Patriarchi, Schem (Nablus) dove nelle vicinanze Giuseppe pascolava le pecore di suo padre. Tutti, me inclusa, ci riversammo in queste zone riempiti di un senso di destino storico quasi mistico. A breve mi resi conto di quanto questo fosse pericoloso. A breve mi resi conto che la stragrande maggioranza della popolazione non pensava assolutamente alla possibilita’ di restituire questi stessi territori che erano costati la vita di tanti giovani. Si era combattuto, avevamo vinto e quindi le terre erano bottino di guerra. Era come se non si volessero vedere le persone che abitavano queste stesse terre, con una mancanza totale di lungimiranza.
In precedenti conflitti al mondo i territori conquistati non furono restituiti ( vedi Alto Adige Austriaco), perche’ in questo caso avrebbe dovuto essere diverso? La Convenzione di Ginevra aveva cambiato le regole del gioco e quindi dal punto di vista della legge internazionale la situazione non era piu’ la stessa. Le due decisioni, la 242 e la 338 furono accettate sia da Israele che dai palestinesi. Anche se non bisogna dimenticare che, per la legge islamica, Hard el Islam, la terra dell’ Islam, la’ dove una moschea e’ stata costruita , non potra’ mai appartenere a non musulmani ( vedi Spagna e Sicilia), e che per i palestinesi si tratterebbe comunque soltanto di una fase intermedia della risoluzione del problema.
Negli israeliani comincia a svilupparsi una convinzione per la quale la terra che Dio ci ha assegnato nella Bibbia non possa essere abbandonata e data ad altri.
Inviati americani di cui quasi non si ricordano i nomi ( di cui l’ultimo e’ Mitchell che si e’ appena dimesso dall’incarico) cominciano a fare i loro viaggi interminabili, quasi un moto perpetuo tra Gerusalemme e Washington senza ottenere risultato alcuno.
E’ del 1964 la formazione dell’ OLP che, dopo pochi anni, viene diretta da Jasser Arafat, unico e solo rais, fino alla sua morte. Questo movimento nasce come movimento laico e per qualche strano motivo viene percepito come movimento di sinistra. Gli israeliani vogliono rimanere nei territori e i palestinesi iniziano la rivolta violenta contro questa stessa volonta’. Un conflitto costante che passa di generazione in generazione fagocitando nuovo odio.
Dopo la Guerra di Iom Kippur, nel 1973, sara’ per la prima volta che cominciai ad impegnarmi politicamente per sostenere quella che avrebbe dovuto essere la soluzione del problema, la divisione in due Stati. Soltanto sostenere in pubblico questa tesi era considerato vox populi tradimento nei confronti del popolo ebraico e dello Stato. Soltanto in forum ristrettissimi che facevano capo all’ estrema sinistra ed ai partiti arabi era possibile discutere l’argomento. In ogni altra sede le reazioni erano di non ascolto totale o di aggressivita’ verbale.
Nel 1978 la costruzione dei primi insediamenti ebraici in Cisgiordania sono l’ inizio di un movimento ideologico messianico in teoria, ma in pratica sostenuto da una fortissima speculazione edilizia, che porta oggi ad avere piu’ di mezzo milione di persone che vivono in queste costruzioni, in Cisgiordania ed a Gerusalemme est.
Ed e’ in questi anni che ritornai in piazza a partecipare alle sporadiche manifestazioni contro lo sviluppo di questo movimento.
Nel 1982, con la Prima Guerra del Libano, definita campagna per la pace della Galilea, dopo l’eccidio di Sabra e Shatila, la parte illuminata della popolazione si sveglia dal lungo letargo, e dopo una manifestazione di piazza, nuove voci si sentono nel paese, voci che chiamano ad un ritiro dai territori e movimenti politici nascono per arrivare a questo scopo. E’ di questi anni il rafforzamento del movimento di Shalom Akshav (Pace Adesso), termine che dopo tutti questi anni di attivita’ e’ anacronistico se non ridicolo. Una parte del partito laburista si sposta a sinistra formando in un primo tempo Raz, movimento per i diritti civili, e piu’ tardi Meretz, unione di Raz e del partito del Mapam, ex partito social -comunista ebraico. Alla sua sinistra troviamo Hadash, partito misto arabo ebraico ed i partiti arabi stessi.
Si dovra’ arrivare alla prima Intifada perche’ il pubblico di Israele si renda conto che l’occupazione non e’ piu’ sopportabile per i palestinesi e che in effetti si dovra’ prima o poi ritirarsi. Pochi anni dopo sara’ il partito Laburista ad aggiungersi ai sostenitori della soluzione dei due Stati.
Ricordo bene le attivita’ durante la prima Intifada. Le due popolazioni, palestinese ed israeliana che a Gerusalemme, la citta’ dove io vivo, erano quasi totalmente legati sia nel lavoro che in vita sociale, furono separati dalla violenza in atto. Coloro che volevano continuare il dialogo, spesso si incontravano a Notre Dame possesso Vaticano in citta’ e zona neutra. Furono di quegli anni gli incontri principali che portarono agli accordi di Oslo, accordi che dettero allora speranze di un passo avanti verso la pace. Il movimento delle donne in nero nasce in quegli anni. All’ inizio in una piazza a Gerusalemme e piu’ tardi in altre localita’ nel paese, donne ebree ed arabe israeliane manifestano contro l’ occupazione. Oggi osservarle passando per la strada e non piu’ da partecipante e’ patetico. Il numero non supera alcune decine. Eppure sono state le donne da entrambe le parti a portare in piazza cinquemila donne in quella che fu la prima manifestazione congiunta delle due popolazioni.
Qualche anno dopo la volonta’ di pace porto’ migliaia di israeliani e palestinesi a formare una catena umana intorno alle mura della Citta’ Vecchia di Gerusalemme con la richiesta di due Stati per due popoli.
Si arrivo’, sotto il governo di Rabin, finalmente alla famosa stretta di mano alla Casa Bianca con Jasser Arafat. Con la restituzione di Gaza e Gerico all’ inizio, entra in opera l’Autorita’ Palestinese che ricevera’ il controllo sul novanta per cento della popolazione palestinese concentrata nelle maggiori citta’. Citta’ che una dopo l’ altra passano all’ Autorita Palestinese entro l’ anno 2000.
Mi opposi da sinistra agli accordi di Oslo poiche’ pensavo, e non avevo torto, che sarebbe stato meglio arrivare ad una soluzione totale del problema e non a stadi intermedi. Attacchi terroristici di palestinesi, l ‘attacco alle Tombe dei Patriarchi nella moschea da parte di uno zelota israeliano e la reazioni di terrorismo susseguenti causarono la salita della destra che venne sostenuta principalmente dalla paura della popolazione. Se con gli accordi si arriva a violenza contro di noi, non abbiamo interesse a continuare questi accordi. Nessuno puo’ scegliere di essere il piu’ debole, non e’ umano. Da tener presente che ognuno dei due popoli vede e risente della violenza fatta nei suoi confronti e tende a cancellare la violenza nei confronti del nemico. Nel frattempo la costruzione di insediamenti e l’ allargamento di quelli esistenti non cessa mai, senza differenza di chi sieda al governo. Governi che comunque per arrivare al potere necessitano l’ appoggio di quegli stessi imprenditori che dall’ occupazione continuano a fare denaro.
Un nuovo slogan si aggiunge a quello dei due Stati: Gerusalemme due capitali per due Stati, anatema questo per la stragrande maggioranza della popolazione. Si arriva cosi’ all’ estate dell’ anno 2000. Ad una riunione di donne israeliane e palestinesi, la principale figura palestinese era Hanan Ashraui. Tra l’ altro figura sparita dallo spettro politico in quanto ha cercato di occuparsi di diritti civili e battersi per la democrazia, parola fino ai recenti avvenimenti quasi del tutto sconosciuta nel mondo arabo. Hanan ci disse allora, ricordo perfettamente le sue parole, che se al prossimo incontro al vertice a Washington tra Barak, l’allora primo ministro israeliano e Jasser Arafat presidente palestinese, non si fosse arrivati ad un definitivo accordo di pace, i palestinesi non avrebbero piu’ voluto un loro stato separato. Avrebbero semplicemente atteso (sumud, termine che indica una forza di sopportazione infinita) i risultati demografici che avrebbero ben presto portato i palestinesi alla maggioranza su tutto il territorio e quindi alla richiesta ‘one man one vote’. Questa richiesta avrebbe dato loro automaticamente la vittoria ed il controllo politico.
Il fallimento dell’ incontro tra Barak e Arafat e non certo la salita di Sharon sul Monte del Tempio- Haram el Shariff, portarono alla Seconda Intifada. Questa rese impossibile continuare una vita all’interno delle citta’ israeliane, dove la gente saltava per aria quasi quotidianamente e porto’ la maggioranza della popolazione ad un ulteriore svolta a destra. E’ impossibile vivere in costante paura che i propri figli non tornino vivi da scuola e rinunciare ad usare la forza che si possiede. Quindi la soluzione torna ad essere la forza e la repressione. E’ impossibile stare dalla parte nemica quando si contano le proprie vittime. Israele e’ un paese piccolo e tutti noi contiamo vittime tra amici o parenti.
E si continua a costruire insediamenti dove coloro che ci abitano diventano quasi un’ entita distinta, armata, difesa dall’ esercito e sempre piu’ legata al messianismo. Le parole di Hanan hanno avuto il loro impatto su di me fin da allora. Se non si arriva velocemente alla pace, Israele avra’ ben presto una notevole maggioranza araba che o annullera’ la sua democrazia o portera’ all’ annullamento dello Stato Ebraico e della sua funzione di possibile rifugio per lo stesso popolo in caso di pericolo. Per chi conosce la geografia di questo paese questo e’ evidente. Dividere questa terra in due Stati nella situazione odierna e’ molto difficile e complicato economicamente e poco pratico. Accesso al mare, rete di energia, fognature, inquinamento, comunicazioni e mercato del lavoro sono alcuni dei fattori che rendono oggigiorno questa soluzione cosi’ complessa.
Dopo quarant’ anni l’ anatema che io sostenevo e’ diventato la soluzione del governo di Bibi sostenuto dai alcuni partiti della destra. Due Stati per due popoli e il ministro della difesa Barak ha accettato pubblicamente la divisione di Gerusalemme. Non vi e’ stata reazione da parte del primo ministro. Il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, nel suo ultimo discorso alle Nazioni Unite ha parlato della soluzione che sembrerebbe la piu’ possibile nella realta odierna. Ricordo di aver proposto la stessa cosa ad un programma televisivo condotto da Fiamma Nirenstein al quale partecipai anni fa. Ritornare ad una partizione della Palestina secondo la logica dettata dalla demografia sul terreno, spostando quindi frontiere e non popolazione. Bisogna togliere la quasi santita’ della linea del 1967 e parlare della realta’ sul terreno odierna. E’ stato fatto in altri paesi al mondo.
Queste sono soluzioni dettate dalla logica. Sfortunatamente la logica non ha molto spazio in Medio Oriente. E quanto ancora interessa al resto del mondo mantenere vivo questo conflitto? Quando l’ occidente ha interesse a mettere fine a conflitti d’abitudine ci riesce.