Blow-UpUna cura antidepressiva

  Quando pensiamo alla Grande Depressione degli anni trenta ci viene subito in mente Migrant Mother (1936) di Dorothea Lange, un'immagine che ha segnato la storia della fotografia successiva. Quell...

Quando pensiamo alla Grande Depressione degli anni trenta ci viene subito in mente Migrant Mother (1936) di Dorothea Lange, un’immagine che ha segnato la storia della fotografia successiva. Quella celeberrima contadina dallo sguardo imperturbabile che protegge i suoi figli con una fierezza senza pari, è divenuta l’emblema di un’intera epoca. E insieme alle fotografie scattate negli stessi anni da Walker Evans, Ben Shahn, Russell Lee, Carl Mydans, solo per citarne alcuni, ha rappresentato l’eroismo di una nuova resistenza americana che una crisi di proporzioni gigantesche e una recessione economica impressionante avevano messo a dura prova.
Il governo federale, convogliò questi autori in un vasto progetto di documentazione fotografica, la Farm Security Administration, per dimostrare all’opinione pubblica delle grandi città come il volto dolente e martoriato delle piccole comunità rurali fosse capace di mostrare, al culmine della tragedia, una compostezza e un rigore quasi sacrali uniti a una levatura morale destinata a fare da esempio a tutta la nazione.
Le immagini suscitarono un profondo rispetto e una sentita commozione da cui partirono gesti di solidarietà davvero memorabili che fecero guadagnare alla politica del presidente Roosevelt un consenso enorme. Tuttavia rimase sempre presente quel loro carattere eccezionale che una fotografia austera, monocroma, fredda e severa esaltava a tal punto da renderlo pressoché inarrivabile. Si finì insomma per ricreare quell’aura di lontananza emotiva dallo spettatore che la fotografia, per sua intima vocazione, avrebbe dovuto cancellare.

Oggi la domanda sull’effettiva capacità di coinvolgimento posseduta da quelle immagini nei confronti di chi non viveva la realtà della miseria quotidiana torna a farsi sentire. La Library of Congress ha messo, finalmente, on-line una sezione poco nota dell’archivio documentario dell’FSA, che è stata interamente prodotta in Kodachrome, all’inizio degli anni quaranta. Già da un primo confronto si può notare come il colore riesca a ridare calore agli eventi e ai personaggi ritratti e a ristabilire quel feeling mancante alle foto in bianco e nero. E poi, oltre all’empatia e al maggior grado di immedesimazione, questi scatti semi sconosciuti sembrano tramettere una forte carica di euforia e di entusiasmo, fanno sentire uno stato di serenità ritrovata che fa da preludio alla rinascita del dopoguerra. Autori allora come John Vachon, Jack Delano, Mary Post Wolcott, John Collier, a volte ingiustamente considerati dei gregari, andrebbero riletti anche alla luce di queste prove con cui non solo hanno saputo ricucire un dialogo interrotto fra mondi molto distanti sia per ragioni culturali sia per ragioni, diciamo, congiunturali, ma soprattutto perché hanno saputo anticipare, come fanno le personalità artistiche più sensibili, l’arrivo dei nuovi immaginari di massa che solo dieci anni dopo avremmo scoperto al cinema e in televisione.

Le immagini sono tratte dal sito della Library of Congress: http://www.loc.gov/pictures