22 giugno 1941, inizio dell’Operazione Barbarossa. Settant’anni fa Hitler apre il fronte orientale e attacca l’Urss di Stalin. Per i sovietici non è la Seconda guerra mondiale, ma la Grande guerra patriottica. Questione di prospettiva. Sappiamo come è andata a finire.
La riflessione è un’altra. Nel secolo breve Germania e Urss sono stati i grandi nemici, poi – crollato il Muro e finita la Guerra Fredda – hanno iniziato ad abbracciarsi, sempre più stretto. Berlino e Mosca sono i due poli che avvicinano ora Europa e Russia. In vent’anni, da una parte Helmut Kohl, Gerhard Schröder e Angela Merkel hanno stretto con Mikhail Gorbaciov, Boris Eltsin, Vladimir Putin e ora Dmitri Medvedev relazioni che vanno al di là della mera riconciliazione. Partnership strategica, si chiama oggi.
Cooperazione economica ed energetica, scambi sociali e culturali. L’amicizia russo-tedesca (che è molto più di un’amicizia, ma non diventerà mai un matrimonio) è il frutto di una strategia che non tiene conto dei colori politici di chi governa a Berlino e ovviamente a Mosca. E fa bene a tutti. Gli interessi coincidono: per crescere la Russia ha bisogno delle tecnologie occidentali, la Germania (ma un po’ tutta l’Europa) delle risorse che qui non ci sono.
È dipendenza simmetrica. Qualcuno ancora oggi evoca Molotov-Ribbentrop: scemenze. Il feeling russo-tedesco può da un lato trainare Germania ed Europa e dall’altro contribuire allo sviluppo russo. Al Kanzleramt e al Cremlino lo sanno bene, per questo contano uno sull’altro, anche se a qualcuno può piacer poco l’idea di un asse che è sì economico, ma che è il sintomo di un’emancipazione che da teutonica potrebbe diventare continentale.
I tempi son lunghi. Ma se si guarda ciò che è successo in quattro lustri, la rapidità con cui Mosca e Berlino si sono ritrovate sulla stessa onda dopo la fine delle ideologie, allora si può capire quali siano le prospettive. Il disastro del disegno di Hitler e di Stalin ha insegnato che la via migliore per Russia e Germania è quella di svilupparsi insieme.