La deriva plebiscitaria sull’acqua e sulle quote rosa

Un argomento controverso dovrebbe registrare un vittoria di misura. Invece, il referendum sull'acqua passa col 95% dei SI, e la legge sulle quote rosa con 438 si e 27 no. Sicuro che sia “democratic...

Un argomento controverso dovrebbe registrare un vittoria di misura. Invece, il referendum sull’acqua passa col 95% dei SI, e la legge sulle quote rosa con 438 si e 27 no. Sicuro che sia “democratico” avere delle maggioranze spopositate? Se un argomento è controverso, chiunque ragionevolmenete potrebbe votare per una scelta come per il suo contrario, altrimenti che argomento controverso sarebbe mai? Un argomento non controverso è quello che dice “è meglio essere sani piuttosto che malati”. Ma quasi tutte le decisioni della vita sono controverse, sono di sfumatura. Eppure oggi vanno di moda i plebisciti. Bianco o nero. E vince con maggioranze “bulgare” uno strano animale che è il “politically correct”. Prendiamo le “quote rosa”.

Le donne entreranno nei consigli di amministrazione delle società quotate (1). La legge è giusta, è il giudizio che sorge spontaneo. Ma perchè è giusta? Di seguito esponiamo un ragionamento molto “politically un-correct” sulle “quote rosa” (2). La tesi è che sembra “giusta”, ma, invece, è “demagogica”.

Le donne sono la metà della popolazione e quindi dovrebbero essere – a tendere – all’incirca la metà degli amministratori. Questa sembra essere la logica della legge. Una legge che si comprende ragionando così: se le caratteristiche dei componenti di una popolazione sono molto simili, allora gli organi di rappresentanza – alla lunga – sono distribuiti secondo la numerosità. Nel caso, la metà agli uomini, la metà alle donne. Se le donne sono meno della metà, allora si ha discriminazione, e quindi si deve imporre la loro partecipazione.

Negli organi d’amministrazione non sono rappresentati altri gruppi, non altrettanto numerosi quanto le donne, ma comunque sufficientemente numerosi. Per esempio, gli anziani, i giovani, quelli che hanno alle spalle studi modesti, i single, non sono abbastanza – si noti: rappresentati in quanto tali, ossia non per “merito”, ma per “condizione” – rappresentati. E dunque, perché mai le donne dovrebbero essere rappresentate – di nuovo: in quanto tali – con delle quote predefinite e gli altri no? Si potrebbe pensare che se uno/una diventa ministro o consigliere d’amministrazione come rappresentante dei single, ma poi si sposa, debba dare le dimissioni. Oppure che sia incentivato/a a vivere more uxorio per restare ministro o consigliere. Al contrario, una donna resta donna per sempre.

Che una maggiore «segmentazione» sia ormai nelle cose si vede, oltre che dalla possibilità di combinare a volontà i colori e gli interni delle autovetture, anche, per esempio, dalle reti di distribuzione di prodotti finanziari. Negli Stati Uniti vi sono promotori finanziari specializzati nella relazione con i gay, con le minoranze religiose, con le vedove, e via dicendo. Nessuno però pensa di suddividere il consiglio di amministrazione sulla base delle caratteristiche – se una/uno è gay, se è mormone, se è vedova, ecc. E neppure le funzioni operative.

Si può giungere a una conclusione perfida. Gli organi di rappresentanza sono considerati meno delicati di quelli attuativi. Nessuno transiterebbe su un ponte concepito da una vedova che lo ha progettato in quanto vedova, e non in quanto un’ingegneressa cui è morto il marito. Ma se una donna siede nel consiglio della società di costruzione del ponte in quanto donna, si pensa che poco o nulla cambi. Nell’antica Atene gli organi di rappresentanza erano a rotazione, ma le cariche operative, come il comando della flotta, erano attribuite sulla base della capacità (vera o presunta).

(1) http://www.linkiesta.it/blogs/bitchiness-gets-you-everywhere/quote-rosa-nei-cda-delle-societa-quotate-e-legge

(2) http://www.centroeinaudi.it/commenti/quote-rosa.html

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