Blow-UpLa donna che vive due volte

Guardate per un attimo questa fotografia. È stata scattata durante il tour elettorale per le elezioni presidenziali del 2012 di Sarah Palin, ex-governatore dell'Alaska. Qui la vedete insieme a Ceci...

Guardate per un attimo questa fotografia. È stata scattata durante il tour elettorale per le elezioni presidenziali del 2012 di Sarah Palin, ex-governatore dell’Alaska. Qui la vedete insieme a Cecilia Thompson, la sua imitatrice ufficiale.

Bene, onde evitare che dilaghi la nevrosi del quiz, sveliamo subito il mistero: delle due, l’ “altra-Palin” è la signora con l’abito elegante e con la spilletta a stelle e strisce appuntata sulla giacca.

Scommetto che avete pensato il contrario. Vista l’ingannevole somiglianza, avrete sospettato, come è capitato a me prima di leggere le didascalie, che fosse proprio l’abito a fare il monaco!

Siamo di fronte all’ennesimo caso di sosia perfetto. La meravigliosa macchina dello spettacolo ha partorito il nuovo volto in grado di innescare un paradossale scambio di identità con il personaggio pubblico. Generalmente la notorietà, sopratutto in politica, è il bersaglio preferito della satira che ama farne la parodia spesso rivolgendosi anche agli istinti più bassi, triviali, libidici del pubblico: ricorderete senz’altro che la scorsa tornata elettorale Sarah Palin era stata imitata dalla pornostar Lisa Ann in un film hard molto chiacchierato, dove si raccontavano i retroscena scabrosi di una sua segretissima vita privata.

La fotografia in questione dimostra, a primo acchito, come una corretta strategia promozionale suggerisca alla “vittima” dell’attacco satirico di usare la massima tolleranza, sense of humour e fair-play sportivo, per non rischiare il crollo della popolarità e il calo dell’indice di gradimento: se non stai allo scherzo e contesti con risentimento, hai già perso le elezioni, per cui ben vengano le strette di mano, lo scambio di sguardi ironico-maliziosi, il clima divertito di complicità e compiacimento.
Sembra, insomma, che la foto metta in scena un comunissimo gioco delle parti, ma forse dietro c’è molto di più.
Un prezioso indizio può esserci suggerito dalla folla di persone pronte a immortalare quell’incontro formidabile con piccole fotocamere portatili.
E la ragione di questo gesto non sta solo nel desiderio di fotografare la celebrità a portata di mano, ma soprattutto nell’attrazione esercitata dal mistero della gemellarità, vera o fittizia che sia, dal fascinoso enigma del doppio, del sosia e della moltiplicazione dell’identità che nel riflesso fotografico, come notava Diane Arbus, amplificano il loro potere psicologico ed evocativo.

L’immagine tecnicamente è sempre il doppio di ciò che raffigura; l’immagine dell’io è il suo sosia e, nella sua assenza temporanea o anche definitiva, è delegata a sostituirlo e a conservarne l’identità. Come dice Otto Rank, il doppio sia reale che ritratto è “un’ energica smentita del potere della morte”, quindi non solo mantiene i ricordi, ma salva l’anima. Questo concetto è all’origine della rappresentazione pittorica, ma anche alla base di molte credenze mitico-primitive che pensano alle immagini speculari, alle ombre, ai calchi come protesi simboliche del corpo vivente.

Vedersi, però, nell’immagine “gemella” significa pure sentirsi “sdoppiati”, cioè privati di una parte di se stessi, come se si finisse per appartenere a qualcun altro. Tale drammatica esperienza della perdita, del distacco, del confronto con qualcosa per noi impossibile da vedere perché inconsciamente “rimosso”, è a volte perturbante. La sua rivelazione, ossia il suo “ritorno”, appare come un fenomeno inatteso, di cui non possiamo avere il controllo razionale.

Il processo di duplicazione è di per sé fotografico. Lo specchio, come insegna il mito di Narciso, è la prima “macchina” che rende evidente ciò che ha di fronte. Consente la costruzione dell’io e al tempo stesso del mondo esterno, ma permette anche di verificare la sua stabilità; ci rassicura, in altre parole, sulla costanza, la solidità, l’integrità della nostra immagine, manifestando aspetti che altrimenti sfuggirebbero per sempre. Pertanto quello “specchio (tecnologico) dotato di memoria” che è la fotografia costruisce e conserva mediante l’esercizio di una sorta di potere magico, protettivo e consolatorio; ma in parallelo genera il senso destabilizzante di un’identità in frantumi.
La percezione fotografica di questa frammentazione è vertiginosa. Il clone reale o virtuale, l’avatar, l’alter-ego, all’interno di una realtà fatta di continue immagini-repliche, incrementano le loro prestazioni facendoci esplodere alla velocità della luce, trasferendo la nostra vecchia identità originaria monolitica in mille altre vite possibili, più mobili, più liquide.
È certo che siamo tutti fisiologicamente destinati a scomparire, ma se qualcun altro ci sopravvive la morte ci fa meno paura.
Tornando alla fotografia iniziale: il confronto con il sosia non è più un imprevisto da scongiurare e semmai da fronteggiare, ma un’occasione da inseguire. L’attrice-sosia, mentre avvolge la vera Sarah Palin come la sua ombra, le ruba l’anima, l’immagine e l’identità, ma non per cancellarle, anzi per custodirle e renderle immortali.

Diane Arbus, Le gemelle Cathlen e Colleen 1966

Andy Warhol, Triple Elvis 1963

Alighiero Boetti, Gemelli 1968

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