PALINODIE SU WAGNER
Forse mai come nel caso di Wagner il monito di Proust, per il quale la biografia di un autore va tenuta nettamente distinta dal giudizio sulle sue opere, si dimostra salutare. Antisemita (ma la lista è purtroppo lunga, in Germania già almeno da Lutero, e il resto della mappa occuperebbe buona parte dell’Europa intellettuale e artistica, a cominciare dal nostro paese), disinvolto fino al cinismo con le donne, sfacciato sfruttatore degli amici, e chi più ne ha più ne metta, il compositore fa di tutto per accendere la nostra antipatia. Ci sarebbero perciò tutti gli ingredienti per chi, ignorando quell’avvertimento, decidesse di sottrarsi alla fascinazione del musicista.
Recentemente una persona cui devo moltissimo di quel (poco) che so in campo musicale ha espresso la sua convinzione che, per la mia passione wagneriana, andrei “rieducato”. Premesso che non sono un pellegrino di Bayreuth, mi dichiaro pronto a sottopormi al necessario recupero (anche perché i musicisti che quella persona ama, e che io stesso rileggo e ascolto di continuo, sono vette indiscutibili); ma prima vorrei abbozzare una sia pur confusa difesa. Innanzi tutto riconoscendo che non si può negare a Wagner lo statuto di musicista (in senso tecnico) “impuro”, e reso spesso oscuro dalla massa imponente (ma obbligatoria per chi voglia conoscerlo) delle sue dichiarazioni teoriche, peraltro non tutte centrate. Ma la critica può andare più in là, e sottolineare i tanti bersagli che Wagner ha mancato; non prima, però, di aver rimarcato come la sua principale mira polemica, il melodramma nelle sue tradizioni allora dominanti (italiana e francese), sia stata da lui vittoriosamente colta. In compenso, il suo sforzo di riattualizzare la tragedia greca nei suoi drammi musicali non è certo andato a buon segno, e si può sostenere a ragione che tutti i suoi più grandi esiti (Tristano, Parsifal, ma in fondo lo stesso Anello) siano assai dubbî sul piano della resa teatrale. Ne sanno qualcosa i registi posti di fronte a testi dove, caso principe il tessuto musicale amniotico e regressivo che avvolge il secondo atto del Tristano, pressoché nulla accade.
Non molto migliori sono stati i risultati con i personaggi cui Wagner aveva affidato il suo messaggio alle generazioni future. Per limitarsi a un solo caso, basta pensare a Siegfried, l’essere generoso e ignaro di inganno (e perciò tragicamente ingannato nel Crepuscolo), che risulta essere poco più che un tracotante giovanottone. Wagner è insomma una delle vittime più illustri dell’eterogenesi dei fini. Voleva fare di Siegfried il perno dell’Anello, e invece tutto ruota attorno a Brünnhilde, una sorta di reattiva Cordelia teutonica capace di sfidare i divieti del padre proprio restando a lui fedele, e di affrontarne l’ira. Voleva creare un teatro musicale mai affrontato da alcuno, ma nell’Ottocento i musicisti teatralmente più efficaci di lui sono molti (a cominciare da Verdi). Forse questo è il maggiore dei suoi fallimenti. Per contro Wagner è stato un narratore in musica di sbalorditiva raffinatezza e incisività, certo senza eguali. Limitandosi ancora all’Anello, non un dramma di teatro musicale ne è venuto fuori, ma l’ultima grande epica attuata nell’era moderna. Ancor più, un’epica che, scontrandosi con l’infrazione dei figli (appunto Brünnhilde), si frantuma dando luogo al criticismo romanzesco.
In una magnifica lezione agli studenti di Princeton sulla Montagna incantata (o magica, secondo l’ultima traduzione), Mann (cui, con Baudelaire, si devono le pagine più penetranti scritte sul musicista), riconoscendo il proprio debito narrativo con Wagner, afferma che gli scrittori per lo più «sono “a rigore” qualcos’altro, sono pittori spostati o incisori o scultori o architetti»; e che, quanto alla propria esperienza, il romanzo è sempre stato per lui «una sinfonia, un lavoro di contrappunto, un tessuto di temi dove le idee fanno la parte dei motivi musicali». Non c’è ragione per cui le parole di Mann non debbano valere anche per i musicisti; la consacrazione di Wagner come irraggiunto narratore in musica verrebbe così sancita. Sono molti i compositori che sono stati oggetto di narrazione (Bach, Mozart, Beethoven, Schubert, Verdi), ma nessuno è stato, sia pure contro le proprie intenzioni, soggetto attivo di essa come Wagner. Dopo di lui, non solo la musica, neppure quella dei suoi avversarî (ne sa qualcosa Debussy), non ha potuto più essere la stessa; ma anche il romanzo (Proust e Mann in testa) ha dovuto fare i conti con la sua lezione di tempo compresente, di interna conflittualità, di miscuglio tra pettegolezzo piccolo borghese e spinta verso un’umanità liberata dal potere.