Il ragazzino e il vecchio. Lo sport come la vita: c’è il nuovo arrivato che deve farsi largo e che riceve i complimenti degli anziani, perché poi è così che dovrebbe essere se uno se lo merita. C’è poi quello che davanti ha poca strada, ma si è messo alle spalle chilometri e chilometri di partite. Miglia in questo caso perché siamo Oltremanica. Golf e rugby e uno pensa che d’accordo non possano andare e sbaglia perché sono due attività che prima di tutto richiedono testa. Chi entra in un campo di rugby e non adopera il cervello, può essere grande e grosso quanto vuole, ma non andrà lontano. Senza la tempra che permette di sopportare le frustrazioni – tipo un putt che finisce ad un soffio dalla buca – la via per la meta si fa dura.
I rugbisti giocano a golf e chissà che qualche golfista nel tempo libero si diverta a giocare a rugby con gli amici. Di sicuro Rory McIlroy ha la faccia giusta per poter entrare nel gruppo. Il ventiduenne irlandese ha vinto lo US Open diventando l’atleta più giovane a riuscirci e stabilendo il record della competizione centenaria di 16 colpi sotto il par dopo quattro giorni di gara. I fantasmi della tappa del PGA Tour negli Stati Uniti, quando rovinò il tabellino di marcia nelle ultime nove buche entrando in un tunnel di lacrime, sono scomparsi. Aveva puntati su di sé gli occhi di migliaia di tifosi e un sacco di rugbisti, via Twitter, nelle ore che anticiparono la sconfitta clamorosa gli spedirono messaggi di sostegno e incoraggiamento. Ha imparato la lezione e ha vinto e gli anziani si sono congratulati con lui. L’essenza sta qui: sei entrato in famiglia, bravo, ma ora stai in guardia. Suona come un gentlemen agreement, mentre e soprattutto suona diversamente da “bravo, ma ora lasciaci in pace”.
A Simon Shaw (nella foto via Guardian) gli incoraggiamenti probabilmente non occorrono nemmeno. Ha 38 anni ed è probabile che li abbia trascorsi tutti quanti giocando a rugby. Seconda linea, reparto che lascia il segno sulle orecchie perché a furia di infilare la testa tra le gambe dei piloni e dei tallonatori in mischia ordinata, le abrasioni si fanno sentire. Come segno che lo contraddistingue ha una medicazione perennemente applicata all’orecchio sinistro: colpa di un taglio che non si rimargina come dovrebbe per mancanza di tempo. Perché la natura umana faccia il suo corso, Shaw dovrebbe andare in pensione, vale a dire non giocare più a rugby. Una parola…
Ha partecipato a due Mondiali: quello vinto dalla sua Inghilterra nel 2003 e quello perso in finale nel 2007 contro il Sud Africa. Il coach Martin Johnson (capitano degli inglesi campioni in Australia) lo ha convocato per il ritiro in vista della spedizione in Nuova Zelanda. Ha detto chiaro e tondo che per lui non fa alcuna differenza: che si tratti di giocare per il suo club (i London Wasps) o per la nazionale, ha come obiettivo quello di addossarsi tutta la pressione necessaria per arrivare al 100% della condizione fisica. Non sarà il capitano perché non sarà titolare, dovesse strappare alla fine il biglietto per l’Emisfero Sud: i gradi spettano a Lewis Moody, il posto almeno in partenza alle truppe più fresche. Ma sarà inevitabilmente uno dei volti ai quale guardare per trovare spirito e volontà. Per fare in modo che arrivi ossigeno al cervello, perché è una questione di testa. Tanto a golf, quanto a rugby. Quanto nella vita.