Guardate la Tavola 13 di questo documento.
Nel 2009 la spesa totale della Pubblica Amministrazione italiana è stata pari al 51,9% del Prodotto Interno Lordo. Su un PIL di 1.520 miliardi di euro, sono 789 miliardi. Togliamo 70 miliardi di interessi sul debito. Tavola 14: sono 719 miliardi, pari al 47,3% del PIL. Pensateci: nel 2009 lo Stato italiano, nelle sue mille manifestazioni ed emanazioni, ha speso 719 miliardi. Si fa un gran parlare, specie in queste settimane, di razionalizzazioni, tagli di costi, eliminazioni di sprechi e privilegi. Tutto giusto. Ma è solo un girare attorno al problema. Guardate il resto della Tavola 14: l’Italia non è un’eccezione. Anzi, l’area euro esclusa l’Italia ha speso il 48% del PIL, e l’Unione Europea il 48,2%. La Francia, ad esempio, ha speso il 53,3%; il Regno Unito (il mitico “paese anglosassone”!) il 49,7%. Ora andate indietro nel tempo: 18 anni prima, nel 1992, le spese al netto degli interessi erano in Italia il 43,1%. Poi ogni anno sono sempre oscillate tra il 40% ed il 44% (il 2009, con il PIL in discesa e la spesa pubblica in salita, è stato un anno particolare). Stessa storia negli altri paesi: nel 1995, la Francia era al 51%, il Regno Unito al 40,3%.
In “Public Spending in the 20th Century: A Global Perspective” Vito Tanzi e Ludger Schuknecht hanno presentato una storia della spesa pubblica mondiale dal 1870 ai giorni nostri. Tavola I.1, Spesa pubblica generale (interessi compresi): Nel 1960 l’Italia era al 30,1%, la Francia al 34,6%, il Regno Unito al 32,2%. Nel 1996: l’Italia al 52,7%, la Francia al 55%, il Regno Unito al 43%. La questione è tutta qui. Dagli anni 60 ad oggi la spesa pubblica in proporzione al PIL è cresciuta dappertutto. Il debito ne è solo una conseguenza. La spesa pubblica può essere finanziata da tasse o da debito. Se in passato lo Stato italiano avesse raccolto più tasse, ora il debito accumulato sarebbe minore. Ma il livello della spesa pubblica, al netto degli interessi, non sarebbe diverso. Come mostrato da Tanzi e Schuknecht, il passaggio della spesa pubblica dal 30% al 50% del PIL non era ineludibile e, in complesso, non ha apportato significativi miglioramenti nella qualità di vita dei cittadini: “Crediamo che molto di quello che i governi vogliono ottenere attraverso la spesa pubblica possa essere ottenuto da livelli di spesa che vanno dal 25% al 35% del PIL” (p. 249). “Suggeriamo un ruolo più modesto e mirato per lo stato e per la spesa pubblica, con cui i paesi possano probabilmente ottenere economie più robuste e una crescita del benessere sociale” (p. 253).
C’è chi ci ha messo diciassette secondi e chi ci ha messo diciassette anni, ma è ormai chiaro a tutti che Silvio Berlusconi non è mai stata – e quanto mai non è ora – la persona adatta a guidare lo Stato italiano in questa direzione. Né ha potuto esserlo Romano Prodi, impedito dalle sue accozzaglie governative. Chi può esserlo? Per saperlo darei il doppio di quanto mi costerebbe la benemerita tassa patrimoniale proposta da Pietro Modiano. Il quale, per i 30 miliardi di minori interessi che a suo parere deriverebbero dalla riduzione del debito finanziata dalla patrimoniale ha già pronta la destinazione: “da usare per la crescita e l’occupazione”. Cioè più spesa pubblica. Ai tassati resterebbe la curiosità di vedere se i 30 miliardi vanno in mano a Scilipoti o a Mastella.