Scordatevi di fare i docenti! Per i prossimi 10 anni non assumeremo nessuno, dobbiamo assorbire prima i precari.
Da alcuni dati circolati in questi giorni pare che la strategia di viale Trastevere per il futuro della scuola italiana sia molto chiara. E molto folle.
A guardare meglio, i dati MIUR (giugno 2010) ci dicono che in Italia nel sistema delle 8.400 graduatorie provinciali ad esaurimento (le liste d’attesa dei docenti precari) ce ne sono 2500 già esaurite e 600 in via di esaurimento. Quelle esaurite riguardano principalmente i comparti disciplinari tecnico-scientifici per i quali c’è già una carenza di docenti in alcune aree del paese e si aggraverà nel prossimo futuro. Mentre alcune graduatorie come quelle di lettere e lingue in alcune province, per essere smaltite, avranno bisogno di oltre 20 anni di turnover (pensionamenti). Dunque la situazione è più variegata di quello che abitualmente si è portati a credere e l’allarme è quello di un eccesso di offerta di insegnanti in alcuni comparti disciplinari ed è quello di un eccesso di domanda in altri.
Tuttavia la questione rimane e l’abbiamo già affrontata nel post precedente e nel dibattito che ne era scaturito: la scuola italiana produce precari a mezzo di precari e il sistema delle graduatorie per l’immissione in ruolo dei docenti è ormai talmente irrazionale da riuscire mirabilmente a frustrare le aspettative sia dei docenti precari che dei nuovi aspiranti docenti, e a causare al contempo un danno irreparabile alla scuola italiana.
Come detto, con il quadro demografico attuale per assorbire tutti i precari (abilitati in alcune classi di concorso) c’è bisogno di un blocco totale delle abilitazioni per 1-2 generazioni di aspiranti insegnanti e dunque dell’esclusione di un paio di generazioni dalle cattedre di questo Paese.
Peccato che qualsiasi organizzazione che rinunci a un costante e sano ricambio generazionale della propria forza lavoro stia di fatto minando alle basi la propria sostenibilità e la qualità del proprio lavoro nel medio-lungo periodo. Questo è vero per le aziende ed è ancora più vero per la scuola. Soprattutto in un periodo in cui i rischi e le opportunità legate alle nuove tecnologie imporrebbero una maggiore prossimità generazionale tra docenti e discenti per aggredire lo iato che si è creato tra “digital immigrants” e “digital natives”.
Va detto, che questo l’approccio “assorbizionista” è politicamente molto popolare. Già Fioroni aveva stabilito che i precari sarebbero stati assorbiti in un quadriennio con immissioni dell’ordine di 50.000 l’anno. Ed è stato proprio il piano programmatico di Gelmini a bloccare questo proposito dopo la prima grande tranche d’immissione in ruolo. Salvo tornare sui propri passi, se l’orientamento di questi giorni dovesse essere confermato.
Ma come si può garantire alle giovani generazioni di insegnanti di avere accesso alla professione senza pregiudicare troppo i cosiddetti diritti acquisiti (che spesso somigliano più a vere e proprie garanzie protezionistiche) di chi è in coda da molti anni?
Da qualche parte si è proposto che le immissioni avvengano secondo la regola del 50 e 50: il 50% in base alle graduatorie ad esaurimento, il 50% in base al nuovo sistema di abilitazione. Difficile dire se questa possa essere una buona strada: da sempre i doppi canali e i sistemi duali finiscono per essere nel lungo termine portatori sani di iniquità e discriminazioni.
Più convincente invece è la strada dell’iscrizione di tutti gli insegnanti abilitati (vecchi e nuovi) ad un albo dal quale le scuole possano attingere direttamente (chiamata diretta). Un sistema più flessibile dove, a fronte di una certificazione professionale riconosciuta e con standard qualitativi identici su base nazionale, insegnanti e scuole possano scegliersi vicendevolmente in un quadro di rafforzamento dell’autonomia scolastica (fatta salva anche dalla nostra Costituzione). Ma per far sì che funzioni è fondamentale mettere a punto un’infrastruttura indispensabile come quella di un sistema di valutazione nazionale serio che renda accountable ogni scuola per le proprie scelte di assunzione validandole alla luce della qualità degli apprendimenti dei propri allievi. Solo in questo modo si dà alle scuole l’incentivo a scegliere per il meglio e si scoraggiano pratiche clientelari.
E a quel punto ex-precari e neo-docenti se la possono giocare sulla base dell’unica cosa che conta, la professionalità, accantonando le diatribe sui punteggi che fanno la fortuna di avvocati e sindacalisti smaliziati ma non certo della scuola italiana.
Update: Questo post è stato scritto all’incirca due mesi fa. All’indomani del suo rilancio in altra forma dal pulpito del Meeting di CL a Rimini, Avvenire ha pubblicato la lettera-appello al Ministro di un gruppo di addetti ai lavori e intellettuali, sottoscritta da migliaia di giovani laureati aspiranti insegnanti, nella quale si chiede al MIUR di rivedere le scelte di immissione in ruolo in massa di precari. La questione è ora esplosa in tutta la sua gravità e diversi organi di stampa ne danno conto (tra gli altri corriere e stampa). Fuori dalla polemica politica che sta montando e stando al merito della questione, la soluzione del 50 e 50 proposta dal Ministro in risposta alle polemiche era già discussa in tutta la sua debolezza nel post, dove si metteva in risalto il ruolo perverso dei doppi canali e delle graduatorie, ormai sono sempre più scollegate da considerazioni di merito e professionalità dei docenti.