Eta (senza Beta)STRANEZZE (E ASSURDITÀ) DEL MERCATO MUSICALE

Pochi giorni fa, per farmi un regalo dopo un lungo lavoro finalmente terminato, sono entrato in uno dei migliori negozî romani di musica, e ho acquistato alcuni DVD e CD. Tra i primi, due esecuzion...

Pochi giorni fa, per farmi un regalo dopo un lungo lavoro finalmente terminato, sono entrato in uno dei migliori negozî romani di musica, e ho acquistato alcuni DVD e CD. Tra i primi, due esecuzioni che sapevo essere assai buone dell’Incoronazione di Poppea di Monteverdi e della Salome di Strauss. Dopo aver controllato i nomi di direttori, cantanti, registi di quei due capolavori, e averne constatato l’adeguatezza ai rispettivi ruoli, sono andato di corsa a casa (errore fatale!) e mi sono messo all’ascolto e alla visione colla miglior disposizione possibile, conoscendo bene quelle opere e amandole in modo particolare. E qui sono cominciate le sorprese.
Inserendo il DVD dell’Incoronazione mi sono accorto, con stupore (e anche stizza, che però dovevo rivolgere a me stesso; sarebbe bastato dare un’occhiata al retro della confezione) che i sottotitoli dell’opera sono in francese, inglese, tedesco, spagnolo. Dell’italiano, cioè della lingua in cui il libretto è scritto e per cui la musica è stata composta, neanche l’ombra. È ben nota una certa, diciamo così, sicumera linguistica di quel grande paese, ma questo proprio non mi pareva neppure possibile immaginarlo. E il guaio non è da poco, perché il libretto di Giovan Francesco Busenello è una irraggiungibile mistione di solennità, di tenerezza e di furia amorose, con il puntello di frequenti e perfettamente calibrate inserzioni di comicità. Un gioiello letterario di cui la stupenda musica di Monteverdi asseconda in modo ineguagliabile i discordi accenti. Dopo aver vanamente cercato in tutti i tasti possibili, mi sono deciso a eliminare i sottotitoli (che, essendo in francese, esibivano naturalmente in stragrande maggioranza l’accento sull’ultima sillaba, in contrasto vistoso con l’accentazione italiana, che vede per lo più l’alternarsi di accenti piani e tronchi). Poco male per me, che il libretto lo conosco, ma una persona che avesse voluto far corrispondere la pronuncia, e la stessa gestualità, dei cantanti (quasi tutti in possesso di dizione italiana eccellente) ai sottotitoli che comparivano sullo schermo, come avrebbe potuto raccapezzarsi?
Piuttosto deluso dall’esperienza, ho pensato di rifarmi colla Salome, il cui libretto, si sa, è il frutto di un ghirigoro piuttosto intricato. L’irlandese Wilde scrive infatti il suo poema in francese, da cui la poetessa Hedwig Lachmann attua una magnifica, e assai fedele, traduzione tedesca. Anche stavolta, quale non è stato il mio stupore nel constatare che i sottotitoli sono in inglese, francese, italiano, spagnolo, cinese (lo spettro è almeno più ampio che nel primo caso), ma non nella lingua in cui il libretto è stato scritto. E qui gli inconvenienti sono ancora più gravi, perché, rispetto ai sottotitoli disponibili, l’effetto risulta spesso spiazzante, e in alcuni casi persino, per chi conosca il libretto originale, e la lingua tedesca, involontariamente comico. Stefan Heym diceva, con molto spirito, che il tedesco è l’unica lingua in cui per intendere veramente il senso di una frase bisogna spesso attenderne la fine (il che accade coi verbi separabili, che presentano in alcuni costrutti il prefisso al termine del periodo). Insomma il cantante volta per volta sulla scena, e tanto più la protagonista che la occupa per buona parte, adeguava inflessione vocale e gesto al testo tedesco, mentre quello inglese (che avevo attivato come quello foneticamente più vicino) l’aveva il più delle volte già anticipata; il che, in quella musica che alterna in modo abrupto sinuosità a violenza, è guasto non da poco. Ancora una volta ho disattivato i sottotitoli, e mi sono goduto la perfetta simbiosi tra testo e musica. Ma si può considerare, questo come il caso precedente, un servizio reso all’ascoltatore e spettatore? Almeno, in entrambi i casi, si sarebbe dovuto pensare a venirgli in soccorso accludendo la versione originale nei testi che, come sempre, accompagnano i due DVD. Macché, le solite interviste a registi che spiegano il senso della loro opera; uno degli effetti peggiori dell’industria culturale. Novalis l’aveva detto nel modo più lapidario: «l’artista appartiene all’opera, non l’opera all’artista».
E chi vuol saperne di più su quei due testi così magnificamente musicati? Si arrangi. Per il libretto di Salome la cosa non è difficile. Per quello dell’Incoronazione di Poppea, o si ha la fortuna di avere in casa il programma di sala di un’esecuzione, o occorre andare in biblioteca, l’unica edizione moderna essendo esaurita da tempo.

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