Di sera il buio fa capolino sempre più presto e si è chiuso anche il calciomercato. Ergo, la fine dell’estate è ormai prossima, giusto dietro l’angolo concedendo ai poveri mortali ancora qualche speranza che la bella stagione non levi le tende. Ma i volti dei ragazzini scrutano già il peggio: il ritorno della scuola. In compenso, riprendono gli allenamenti e solitamente, in questa parte dell’anno, i campi da gioco hanno un profumo strano: non è questione di erba, semplicemente il gruppo si ritrova, si presentano i nuovi arrivati e riprende quel cerimoniale – sempre lo stesso – che terrà compagnia fino al prossimo giugno, o giù di lì. E che rinfranca perché tutto o quasi è come lo si era lasciato.
Scatta settembre e anche se i dati anagrafici indicano il contrario, uno si sente un po’ vecchio. In attesa che dalla Nuova Zelanda giungano le immagini della Coppa del Mondo (al via il 9), fanno capolino sugli schermi quelle della finale del Mondiale francese 2007 – chiaro, stiamo parlando di rugby, che dopo la dose massiccia di calcio bisogna rinfrancarsi.
Quattro anni fa, sembra per certi versi un’eternità. Quella partita tra Inghilterra e Sud Africa con i detentori del titolo 2003 (gli inglesi) battuti dai giganti boeri. Sono cambiate alcune regole, da allora. Una su tutte, rivivendo la finale in questione: dalla propria area dei 22 metri si può calciare direttamente in rimessa laterale solo se il pallone viene raccolto all’interno di quel rettangolo. Se invece il calciatore riceve palla da fuori l’area dei 22, il pallone deve rimbalzare in campo.
Meccanismi che rendono obbligatorio un sistema gps alle prime linee: piloni e tallonatori che cominciano a gironzolare mentre gli altri invece che a rugby si dedicano al ping pong. Cento e (molto) passa chili che tentano di tenere il ritmo e di capacitarsi dell’accaduto. Su e giù, avanti e indietro, “vedete di metterla giù, per Dio, che vogliamo giocare anche noi!”. Dicevamo, qualche giorno fa, che il calcio è un gioco, altro è lo sport. Il rugby conserva certi cromosomi proprio per spirito identitario. Veloce esempio.
I giovani che praticano il gioco del calcio si incaponiscono nell’imitare i professionisti che dribblano, esultano, sgambettano, si gettano a terra manco questa si aprisse improvvisamente per lasciar posto ad una piscina. Solo che ci sono quelli bravi nel replicare le gesta, quelli che sono negati in tutto e per tutto, ma non andateglielo a dire che poi si offendono: sono ragazzine, che ci volete fare. Nella palla ovale, invece, non c’è bisogno di imitare alcunché: i piloni (nella foto, il mitologico Os du Randt) e i tallonatori li riconosci non solo per la stazza, le orecchie e il naso, ma per come si muovono. È istintivo, o meglio iscritto nei loro dna. Poi chiaro: c’è quello che si arrangia meglio dell’altro, ma la natura il suo corso lo deve pur fare.
E infatti è arrivato settembre.
Ps: titolo preso in prestito da una poesia di Attilio Bertolucci