In questo periodo si legge sempre più di frequente sulla stampa italiana della crisi che si starebbe abbattendo sulla Cina.
In breve, secondo alcuni giornalisti italiani, la Cina si sta incrinando: l’inflazione sale e i prezzi di produzione lievitati, le imprese sono costrette a rispettare la sicurezza sul lavoro e le norme ambientali sempre più stringenti e alcune multinazionali iniziano a rivolgersi altrove, come il Vietnam o la Cambogia.
Ancora una volta, il messaggio che si vorrebbe far passare sui nostri media è che il motore che dovrebbe spingere le aziende italiane a internazionalizzarsi sia ad ogni costo la ricerca del prezzo più basso e non la ricerca di nuovi mercati di sbocco per le produzioni fatte anche all’estero.
Complimenti ai quei giornalisti nostrani che scrivono da dietro comode scrivanie di Milano, Roma, o solo di passaggio per Pechino o Shanghai (riportando spesso quanto si scrive sulla stampa di Hong Kong in lingua inglese ignorando la massa d’informazioni in lingua cinese perché non sono in grado di leggerla e di capirla) che cercano facile audience descrivendo una realtà parziale.
In uno scenario dove gli investimenti esteri stranieri in Cina aumentano del 15-17% l’anno (nel 2010 sono stati circa 105 miliardi di USD) mi sembra difficile sostenere la tesi di una fuga di capitali e d’investimenti dal paese. Esiste certamente la scoperta di nuovi mercati e di nuovi paesi che stanno per emergere aprendosi agli investimenti, come nel caso del Vietnam per esempio, ma non è certamente un abbandono della Cina.
Si è sempre sparato a zero contro la Cina per il non rispetto delle norme sul lavoro e per il non rispetto dell’ambiente. E ora?
La realtà che vediamo in Cina invece è ben diversa.
Da diversi anni la legislazione cinese si sta evolvendo seguendo sempre più vicina a modelli occidentali, come insistentemente richiesto proprio da noi. Fare un investimento produttivo in Cina non potrà più voler dire ignorare le norme anti-inquinamento o le regole di sicurezza tanto per ridurre i costi di produzione, e questo vale anche per le aziende cinesi che sono sempre più costrette ad attenersi alla legge.
Quello che spesso sfugge è che in Cina troviamo uno dei mercati più grandi esistenti e con sviluppo a due cifre, anno su anno. Non è quindi una mera questione su come e dove produrre a basso costo, ma su come prendere parte e avvantaggiarsi di un mercato che sembra sì complesso, ma che richiede solamente la lungimiranza di strutturarsi per prenderne parte.
Noi in Italia, sempre sulla scia di campagne giornalistiche male informate e della politica non informata, abbiamo spesso solo risposto alzando barriere e tariffe doganali nella speranza di rallentare le esportazioni cinesi. Una battaglia persa in partenza se fatta solo per difendere l’immobilismo delle aziende e posizioni di vantaggio che non potranno più essere sostenute in un mercato globale.
Le aziende che negli scorsi anni non si sono spinte a esplorare nuovi mercati, e non solo quello cinese, sono quelle che stanno soffrendo di più, specie in questo periodo di crisi. Ovviamente non esiste solo la Cina da considerare. Sono il primo a sostenere che in questo mondo si sono aperte numerose opportunità, come in Sud America, in Arabia Saudita, in Turchia, etc.
E’ però importante tener presente che l’unico mercato in pieno sviluppo con 800 milioni di contadini che emergono dalla povertà e migliorando le proprie condizioni di vita, incrementando i consumi, si trova in Cina.
Mentre si gridava allo scandalo per le povere condizioni di vita nelle campagne e nelle fabbriche cinesi, ora che le cose stanno per migliorare e si iniziano a definire politiche di preservazione dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori, gli stessi giornalisti gridano ai quattro venti che la Cina non conviene più, il costo del lavoro sale e che iniziano a mettere paletti sull’ambiente…ma allora di che cosa stiamo parlando? per favore, un po’ di coerenza please..!
Lascio le considerazioni a voi e ai giornalisti che invito caldamente a vivere realmente un po’ in mezzo alla gente e nei paesi di cui scrivono per capire meglio quello che sta accadendo nel mondo in maniera diretta e non per preconcetti e per sentito dire.