Il 2 agosto Renato Farina (Pdl) ha potuto presentare alla Camera la sua proposta per riformare l’ordine dei giornalisti di cui non fa più parte dal 2006, anno in cui pubblica su Libero un falso dossier su Romano Prodi che all’epoca dei fatti era il presidente del Consiglio.
La proposta dell’ex giornalista prevede che all’ordine possano iscriversi solo le persone che sono in possesso di una laurea triennale. Gli aspirati pubblicisti per essere considerati tali dovranno superare cultura generale che attesti anche la conoscenza dei principi di deontologia professionale.
La riforma Farina non può essere considerata soddisfacente per una serie di motivi. Il primo riguarda i tempi tecnici che ha richiesto la presentazione dell’idea, la prima dalla fondazione dell’ordine. Una riforma che arriva dopo mezzo secolo non può prevedere delle modifiche minime. Chi si occupa della materia deve riscattare tutti i colleghi che prima di lui non hanno voluto prender in esame il problema se tale si può definire.
Il progetto presentato alla Camera, inoltre, è troppo astratto. La carriera accademica potrebbe essere un parametro adeguato per un paese che ha investito per davvero sulla scuola. Il futuro dell’Italia non si siede sui banchi, distrutti dalle riforme. La conoscenza si muove verso altre stanze. Il segmento di formazione prossimo al mercato le istituzioni lo rimandano a terzi. La cultura accademica, per tanto, non è un parametro tecnicamente valido.
I giornalisti, quelli bravi, si distinguono per la curiosità e la capacità di fare delle domande interessanti. Farina, forse, avrebbe dovuto leggersi gli articoli che si sono scritti per la scomparsa di questo o quel giornalista. Di D’Avanzo ricorderemo i problemi sollevati non certo il liceo che ha frequentato prima di diventare un professionista.
Di cavalieri, come la storica firma di Repubblica, in giro se ne trovano sempre meno. Quelli che si oppongono alla comparazione artificiale tra la propria professione e una impiegatizia devono vedersela con i barbari.
Prima di presentare la propria proposta Farina avrebbe dovuto studiarsi il viaggio che le notizie fanno nel 2011. Oggi i fatti passano per tanti vettori quanti sono i lettori. L’edicolante è tra questi. La sua presenza si distingue solo se quanto diffonde è valido. Può non piacere ma la selezione delle notizie è un compito che i giornalisti hanno ceduto, a volte per incompetenza, agli utenti che spesso sostituiscono ai professionisti come Farina. Anche per loro la politica dovrebbe prevedere un esamino. L’assenza di un test potrebbe creare delle disparità che l’attuale legislatore non vuole. O son giornalisti tutti quelli che toccano una notizia o nessuno di loro può essere definito tecnicamente come tale.
In Francia, come ben saprà Farina, un libero professionista è un giornalista solo se una parte dei propri guadagni deriva dalla cronaca. In Italia, invece, all’inutile ordine sono riconducibili le persone che diventano i protagonisti del proprio presente. Ai giornalisti piace cercare la notizia senza divertarne una. Quello è il compito delle veline.
Colonna sonora: “Quelli che ben pensano” di Frankie Hi Nrg perché i giornalisti come Farina “sono intorno a me ma non parlano con me… Sono come me ma si sentono meglio…”