Technology ReviewProdi commenta su Linkiesta: “L’Italia ha bisogno della manifattura più dell’America”

L’ex presidente del Consiglio italiano e della Commissione Europea Romano Prodi commenta l’intervista a Andy Grove, fondatore di Intel, che sostiene la necessità della manifattura come elemento di ...

L’ex presidente del Consiglio italiano e della Commissione Europea Romano Prodi commenta l’intervista a Andy Grove, fondatore di Intel, che sostiene la necessità della manifattura come elemento di crescita dell’economia americana sul blog della rivista Technology Review di Alessandro Ovi.

In una intervista di Robert Hof su Technology Review, Andy Grove, fondatore di Intel, sostiene che la crescita di posti di lavoro nel settore manifatturiero è assolutamente indispensabile al futuro degli Stati Uniti. Grove conosce molto bene quanto possa essere rischioso intraprendere un’ attività manifatturiera, e per questo sostiene che il governo americano dovrebbe fare molto di più per promuoverle.

Secondo Grove, la perdita della attività manifatturiera nel paese renderebbe molto più difficile per gli innovatori trasformare in prodotti le loro idee. Cita come esempio il settore fotovoltaico dove, benché la maggior parte delle tecnologie siano state inventate negli Stati Uniti, quasi tutte le innovazioni industriali provengono dall’ Asia e dalla Germania, perchè là sono le fabbriche. Altro elemento importante è che solo con la manifattura si può combattere seriamente la disoccupazione.

Questi sono i motivi per i quali, secondo Grove, gli Stati Uniti non dovrebbero focalizzare le loro attenzioni non solo sulle produzioni con tecnologie avanzate, ma anche su quelle per beni a valore più basso. Il caso che viene considerato più straordinario, è quello della scomparsa della industria dei Computer dagli Stati Uniti. Nel 1970, ricorda Grove, c’erano 150 mila posti di lavoro, saliti poi a 2 milioni al momento di picco, per poi ridiscendere ai 150 mila di oggi.

Nel frattempo, il fatturato dell’industria dei Computer è salito do 20 a 200 miliardi di $. «Rendersi conto di questa enormità, e continuare a ripetere il “mantra” che innovazione e tecnologie avanzate ci salveranno, di fronte all’ evidenza del contrario, è il motivo per cui sono arrivato a scrivere che bisognerebbe mettere dazi sulle produzioni dei paesi a basso costo del lavoro» arriva a sostenere Grove, pur sapendo benissimo di quanto una proposta del genere sia impopolare tra gli economisti.

Domanda Hof: Ma in realtà non sono l’automazione e gli incrementi di produttività le vere cause del declino della occupazione nella manifattura?
Grove: «No, malgrado l’automazione e la produttività, questi lavori esistono ancora, soltanto non sono più qui. Quello che è successo negli Stati Uniti ha invece molto a che vedere con il “contract manufacturing” dove, come ad esempio nel caso di Apple, si progetta qui un prodotto poi lo si manda a fabbricare altrove, ad una società come la Foxcom cinese, che così si ritrova ad avere 1,1 milioni di nuovi posti di lavoro».

Hof: Ma non è forse vero che fabbricare in Cina è semplicemente molto meno costoso?
Grove: «Prima di tutto vorrei vedere una analisi che mi dimostri di quanto il prodotto così fabbricato è meno costoso. Probabilmente si può ottenere la risposta che si vuole,in funzione delle ipotesi che si fanno. A far risparmiare è la “supply chain” locale? Quanto dei costi indiretti “di supporto” della casa madre (progettazione, ingegnerizzazione…) viene allocato alla fase produttiva? Quanto dei benefici del “delocalizzare” la produzione deriva da sgravi fiscali o incentivi fiscali offerti dal paese che ospita le attività manifatturiere ? Quanto da condizioni di lavoro o di impatto ambiental non accettabili da noi? Il problema è che oramai si dà per scontato che la manifattura negli Stati Uniti sia morta. Se si crede a questa storia e si agisce di conseguenza, la storia diventa verità. Io penso che tutti i nuovi investimenti siano influenzati da questa situazione, data per scontata, che viene automaticamente inclusa in tutti i piani, prima ancora che questi vengano definitivamente quantificati. E se non prevedi fin dall’inizio di avere le fabbriche qui, anche tutti i fornitori ti seguiranno fuori dagli Stati Uniti».

Hof: Ci sono paesi industrializzati che possono dare un esempio di come trattenere almeno parte del settore manifatturiero?
Grove: «Certo. La Germania è riuscita, al contrario di quanto fatto negli Stati Uniti, a trattenere manifattura ed a innalzarne il valore. Là si fanno produzioni di precisione, come Mercedes e Porche nell’automobile, o Siemens nell’imaging biomedicale e nella generazione di energia. Non si può certo dire che la Germania non abbia altri problemi, ma tra questi la disoccupazione non è tra i più importanti.

Hof: Che dovremmo fare qui, allora?’
Grove: «Io penso che il più grande nemico della manifattura americana sia la “finta certezza” che gli Usa sia un pessimo posto per farla e che sia proprio questa percezione tenere la manifattura lontano da qui. Io penso che il nostro governo dovrebbe sforzarsi di far conoscere bene a tutti qualunque esempio in cui società, città, stati , agenzie governative, hanno con successo avviato nuove attività manifatturiere. Ciò può servire di stimolo a chiunque stia prendendo in considerazione la costruzione di una fabbrica, o che sta pensando di intraprendere una carriera nel settore.

Hof: Non mi pare lei sia molto fiducioso in un ritorno di lavori manifatturieri qui negli Stati Uniti
Grove: «No, in realtà penso che questo succederà, ma forse sarà troppo tardi. Nella seconda guerra mondiale è stata la manifattura Americana a vincere la guerra ma ci ha messo due anni per per partire davvero, ed era un mondo molto diverso. Oggi non vedo nessun modo per rompere il nostro “ciclo miope” al di là di creare abbastanza casi di successo, disconnettersi dall’atteggiamento negativo verso “la fabbrica” e cominciare a sollevare seri dubbi sulla correttezza della attuale “pensiero comune”.

(Alessandro Ovi)

Prima pubblicazione 22 agosto 2011

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter