Giornalismo in Street ViewRivolte a Londra, il pianto delle Council House

Nell'immane tragedia di Londra, tra le strade della capitale d'Europa in cui quasi ognuno di noi conserva sogni, ricordi e affetti, c'è una tragedia più piccola che si sta consumando, e i cui eff...

Nell’immane tragedia di Londra, tra le strade della capitale d’Europa in cui quasi ognuno di noi conserva sogni, ricordi e affetti, c’è una tragedia più piccola che si sta consumando, e i cui effetti si vedranno sul lungo periodo.

E’ la tragedia delle council house, vale a dire le case popolari britanniche, da cui negli ultimi giorni sono partiti molti dei focolai di rivolta, a Tottenham come a Brixton. E anche nel grande complesso di Pembury estate, ad Hackney, Londra Nord, meno di un miglio dalla City.

Proprio Pembury estate, ieri, è stato il centro delle rivolte. Il quartier generale di centinaia di ribelli, assediati per ore dalla polizia, tra lanci di sassi e macchine incendiate.

Sembrerebbe una lettura più che sufficiente su quello che è accaduto. Eppure, come ci spiega in questo articolo l’adolescente Franklyn Addo, autore hip-hop e blogger per il Guardian, e soprattutto abitante di Pembury, c’è qualcos’altro che vale la pena di ricordare.

“Una volta Pembury estate era afflitto dal crimine: sparatorie, droga, furti e rapine. Ma negli ultimi cinque anni la zona è diventata molto più sicura, sia per chi ci vive che per chi ci passa. Il council locale si è impegnato a trovare fondi per aprire centri giovanili e organizzare altre attività ricreative, in modo da distogliere i ragazzi dal crimine, così che l’area, nel tempo, è davvero molto migliorata.”

Insomma, Pembury è un luogo aspro e difficile, ma anche un luogo dove funzionari pubblici e gente pacifica si sono impegnati a lungo per portare assistenza, solidarietà, e soprattutto fiducia. Ecco, dopo gli eventi di ieri, quella fiducia costruita si è rotta. E nelle parole di Addo c’è tutta l’amarezza per un lungo lavoro, vanificato all’improvviso.

“Gli eventi di questa settimana distruggeranno anni di lavoro. Stamattina presto, Pembury estate sembrava abbandonato”.


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Chiunque abbia viaggiato un poco per Londra sa che le council house si trovano in quasi tutti i quartieri della metropoli, e sa anche che quasi sempre hanno aspetti più malconci di Pembury.

In effetti, su un altro lato del complesso, un cartello accenna proprio ai lavori di rifacimento delle facciate e rinnovo degli ascensori. Interventi di poco conto, se confrontati con i problemi strutturali e radicati dell’edilizia pubblica inglese. Le council house hanno rappresentato un investimento talmente massiccio, nei decenni passati, da essersi rivelato spesso impossibile da mantenere a livelli di decenza. Sono nati ghetti ed enclave etniche, e con loro, durissimi a morire, quegli stereotipi negativi che possono condizionare l’intera vita di un bambino, magari nero, che nelle case popolari si trova a muovere i suoi primi passi.


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Ora: uno degli strumenti più utili per inquadrare i disordini dei giorni scorsi sono le mappe online delle violenze: scontri, rivolte, saccheggi e incendi, inquadrati in dettaglio sulla carta geografica di Londra (qui il servizio messo a disposizione dalla Bbc).

Su queste mappe, di sicuro affascinanti e per certi versi irrinunciabili, tutto appare fin troppo chiaro: dove sono segnati gli eventi criminali, ci stanno i vandali, i violenti, i teppisti.

Ma poi vai a vedere Pembury estate in Google street view, e ti fermi su quel cartello che parla di ristrutturazioni. Suona come un invito alla fiducia, nonostante tutto. Peccato che quella fiducia, ieri, sia stata stuprata. Per cui ora vorresti gridare di rabbia e amarezza, pensando a quegli innocenti che nei prossimi anni dovranno vedere la propria vita sempre più condizionata, e forse discriminata, dal marchio d’infamia di un’abitazione che non si sono neanche scelti. Un grido per le vittime più indifese della guerra di Londra. Sperando che i colpevoli dei riots, intanto, siano individuati e puniti.

“Ci vorranno milioni di sterline per ricostruire gli edifici, ma il danno alla comunità, forse, non sarà mai sanato”, scrive il 17enne Addo.

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