Ora che il divieto allo short-selling è attivo in Belgio, Francia, Italia e Spagna, la speculazione sarà arginata. Deve essere stata questa la vana, nonché irrealistica, impressione delle authority finanziarie dei suddetti Paesi. È il segno di tutta l’incertezza che vige nell’eurozona, dove oggi si pensa una cosa e domani se ne fa un altra. Non fa eccezione l’Italia.
La Consob ha dimostrato di non avere piena consapevolezza di cosa sta succedendo sui mercati finanziari. Due giorni fa, il 10 agosto, ha affermato che «le posizioni nette corte sono contenute in limiti fisiologici e che in sede di regolamento non si evidenziano scoperture». In altre parole, sui cali dei titoli a Piazza Affari hanno inciso soprattutto le vendite effettive, non quelle allo scoperto. Del resto, era abbastanza chiaro ciò che stava accadendo. Complice la crescente instabilità politica e fiscale italiana, gli investitori stavano liquidando le loro posizioni.
Fra ieri pomeriggio e la scorsa notte, l’evoluzione. L’idea parte da Parigi. L’Autorité des Marchés Financiers (Amf), su pressione di Société Générale, BNP Paribas e Crédit Agricole, decide di alzare il telefono. Dall’altra parte del filo risponde la European Securities and Markets Authority (Esma), l’organismo europeo di vigilanza sui mercati finanziari. L’Esma spiega a Parigi che non avrebbe senso che il divieto solo su un mercato. E così l’Amf inizia a chiamare in giro per l’Europa, partendo da Londra, dove la Financial services authority (Fsa) risponde picche. Sono invece d’accordo al divieto Roma, Madrid e Bruxelles. Già, anche l’Italia, che in realtà non ha bisogno di una misura così drastica.
Improvvisamente la Consob cambia idea rispetto a due giorni prima e appoggia la linea di Parigi. E così, arriva il divieto «di assumere posizioni nette corte ovvero incrementare posizioni nette corte esistenti, anche intraday», come recita il comunicato dell’authority guidata da Giuseppe Vegas. Tutto risolto? Non proprio.
Vietare a un investitore lo short-selling, come ha ricordato molto bene il Wall Street Journal, significa danneggiare l’efficienza dei mercati finanziari. In primis si abbatte la liquidità e si creano delle aspettative negative in merito alla solidità dei soggetti di quel sistema finanziario, che devono essere tutelati dall’authority di vigilanza con misure palliative e in stile protezionistico come il divieto di vendita allo scoperto. Il problema, tuttavia, potrebbe essere un altro. Se una grossa istituzione finanziaria decide, per vincoli di rating al portafoglio, di ridurre l’esposizione a un determinato titolo e non può utilizzare lo short-selling, cosa fa? Chissà se qualcuno alla Consob lo sa…