Gabrio Casati40.000 Contadini

Proviamo a compiere alcune considerazioni sull’appello di Andrea Tavecchio, pubblicato su questo sito. Il parallelo con la Marcia dei 40mila non ci sembra del tutto appropriato anche se, nelle paro...

Proviamo a compiere alcune considerazioni sull’appello di Andrea Tavecchio, pubblicato su questo sito. Il parallelo con la Marcia dei 40mila non ci sembra del tutto appropriato anche se, nelle parole di Tavecchio ravvisiamo un necessita’ espressa di “mobilitazione”. Quella marcia fu il frutto dell’apice del più tradizionale dei conflitti novecenteschi, quello tra Capitale e Lavoro, stravinto peraltro dal primo in Italia come nel resto del mondo capitalista di allora. Quella manifestazione rappresentò una delle tappe di recupero di egemonia del Capitale in questo Paese.

Oggi – volendo cogliere nel post un disperato appello alla mobilitazione a favore della crescita – il conflitto da ingaggiare sarebbe di tutt’altro genere e non avrebbe nulla a che vedere con quello tra imprenditori e lavoratori, ancor meno se si parla di lavoratori della grande industria manifatturiera.
Quei lavoratori, infatti, sono – per usare i termini che abbiamo mutuato da Carlo levi – “Contadini” tra i “Contadini” e, per certi versi, persino più di altri:

  • Non evadono un solo centesimo e, al contrario, insieme a tutti i loro colleghi dipendenti di altri settori anche quando impiegati, generano la più ampia parte del gettito fiscale riconducibile alle imposte dirette;
  • Dispongono di salari spesso prossimi alla metà dei loro colleghi europei, un dato che viene comunemente ricondotto alla loro minore produttività alludendo a una qualche forma di pelandroneria che chiunque abbia mai messo piede in una fabbrica sa essere semplicemente impossibile. Un modo per occultare il fatto che la produttività non dipende solo dalla quantità/qualità del lavoro, ma anche (e in questo caso si potrebbe dire soprattutto) da quantità/qualità degli investimenti in macchinari, dall’organizzazione dei processi produttivi, ecc. ambiti tutti in capo alle decisioni assunte da management e azionisti, non dai lavoratori;

La contrapposizione tra lavoratori dipendenti e imprenditori che si legge in filigrana con l’allusione alla Marcia dei 40mila ci sembra pertanto fuorviante, così come quella ritornata in auge in questi giorni di tribolazione per la messa a punto della manovra, tra lavoratori dipendenti e “atipici”. Tanto più quando ragionevolmente – visti i rapporti di forza – la supposta equità di trattamento verrebbe conseguita non costruendo un sistema di tutele e garanzie per gli “atipici” quanto togliendo quel che resta ai “dipendenti”. Ecco perché quella contrapposizione nella migliore delle ipotesi è un errore, altrimenti è un’operazione ideologica o, peggio, reazionaria. In ogni caso mistificante.

Diverso il discorso se cominciassimo a distinguere tra lavoratori e lavoratori (dipendenti o “atipici”) e tra imprenditori e imprenditori. Laddove – pur senza negare l’esistenza del naturale e ineliminabile conflitto tra profitti e salari – il fuoco viene messo sul conflitto tra chi deriva la parte prevalente dei suoi introiti da profitti o redditi da lavoro e chi, al contrario, da rendite o extra-profitti che sarebbero illegittimi in condizioni di mercato “normali”, al di là della funzione sociale ricoperta da ciascuno: Contadini i primi, Luigini i secondi.

Da questo punto di vista, è del tutto insensato l’accanimento contro i dipendenti tout court, perché tra un operaio forestale friulano – dipendente pubblico – che deve curare 7.000 ettari di bosco (dal momento che in Friuli i forestali sono solo 50 di cui 30 stagionali) e un suo collega calabrese che di ettari ne deve curare 56 (perché in Calabria i forestali sono 11.000 e la regione detiene paradossalmente anche il record degli incendi boschivi dolosi) forse c’è qualche differenza. Così come qualche differenza di produttività ci deve pur essere tra il dipendente medio di una Regione come la Lombardia che dispone di un personale 3.900 unità per una popolazione di 10 milioni di abitanti cui fornisce servizi mediamente migliori che nel resto d’Italia e quello della Regione Sicilia che di dipendenti ne conta 25.500 per una popolazione di 5 milioni di abitanti che fruiscono di servizi mediamente molto peggiori dei loro concittadini lombardi.

Analogamente, ci sarà pur qualche differenza tra un piccolo o medio imprenditore a capo di un’impresa esposta alla concorrenza internazionale, innovativa, vessata e stritolata dal fisco e, per esempio, una grande impresa che:

  • preferisce rifugiarsi nel comodo cantuccio delle utility comprate (magari a debito) per 2 soldi dallo Stato, protetta da un monopolio o da un semi-monopolio concesso per pochi spiccioli di canone annuo;
  • capace di tosare gli utenti con la certezza che nessuna autorità andrai mai controllare o sanzionarne i comportamenti;
  • intenta a comporre i propri profitti lavorando più sul Parlamento e il Governo perché gli sia concesso di aumentare le tariffe anziché lavorando sul mercato;
  • abituata a ricorrere all’evidente sproporzione di potere negoziale con i propri piccoli fornitori per poterli pagare a 180 giorni (senza nulla da invidiare, quindi, alla PA)
  • abile nel gestire il “parco buoi” dei piccoli azionisti quando si rivolge al mercato finanziario;
  • libera di disporre a proprio piacimento di orde di lavoratori “atipici” pagati poco e tutelati zero, oltre che beneficiaria di rilevanti risorse pubbliche quando “costretta” a utilizzare le varie forme di cassa integrazione, pre-pensionamenti, ecc.

Una Marcia dei 40.000 di oggi, se fossero 40.000 “Contadini” raccoglierebbe indistintamente lavoratori dipendenti sottopagati, lavoratori “atipici” sottotutelati, piccoli e medi imprenditori competitivi, piccoli azionisti circuiti, vittime dell’accanimento fiscale vuoi per entità del prelievo, vuoi perché vessati, consumatori, utenti o clienti tosati e maltrattati, contribuenti che usufruiscono di prestazioni, servizi e investimenti pubblici con un valore troppo inferiore a quanto versano nelle casse publiche.

Visto che sulla supposta contrapposizione tra lavoratori ci pare che si sia lavorato già fin troppo, perché non iniziare a distinguere tra le imprese, parassiti da una parte, imprenditori veri dall’altra? Perché non impostiamo un lavoro su questo, piuttosto che mirare al falso obiettivo – oggettivamente poco rilevante – del lavoro dipendente?

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