Difficile tirare le fila di un discorso quando ci si ritrova in mezzo. Quando venerdì da noi sarà mattina, in Nuova Zelanda sarà sera e, soprattutto, cominceranno i Mondiali di rugby. Così uno si rende conto che sarebbe il caso di scrivere qualcosa di sensato sull’evento e in modo che anche i non addetti a tale sport ne capiscano qualcosa. Poi realizza che è una missione impossibile dal momento che è impresa ardua riuscire a raccontare quella serie di sensazioni personali che si mescolano man mano che ci si avvicina al calcio d’inizio. Detto fra parentesi, potrebbero non fregare a nessuno e l’obiezione è più che lecita e sensata.
Ma l’altro giorno ero sul campo di un oratorio, intento a tenere a bada una decina di ragazzini scalmanati che si erano prestati a giocare a rugby per un’ora. Ci eravamo incontrati in altre occasioni e dunque i fondamentali di questo sport li ricordavano: il pallone si passa all’indietro e deve esserci sempre un sostegno alle spalle del portatore di palla. Di volta in volta hanno appreso altre cose, come funzionano alcune fasi di gioco e preso confidenza con se stessi e le proprie abilità, procedendo diretti al placcaggio. Dei graffi e un paio di botte alla schiena indicano che l’esperimento è perfettamente riuscito. E i sorrisi delle pesti cancellavano qualsiasi ragionevole dubbio che fosse fallito, prima di tornare a dedicarsi al gioco più desiderato: il calcio.
Frasi che non aiutano a tirare le fila e a risolvere il quesito “ma che diavolo avrà mai questo rugby di così indescrivibile?”. Provate a sintonizzarvi sulle partite della Coppa del mondo, magari una risposta riuscirete a fornirla voi al sottoscritto.