Quello che non c’èQuello che non c’è: la fame

Arriverà anche la fame nel mondo, sbuffò il direttore sussurrando a seguire una bestemmia, di fronte alla ragazza che mezz'ora dopo l'acquisto era andata in libreria per cambiare la Smemoranda blu ...

Arriverà anche la fame nel mondo, sbuffò il direttore sussurrando a seguire una bestemmia, di fronte alla ragazza che mezz’ora dopo l’acquisto era andata in libreria per cambiare la Smemoranda blu senza cordino con quella blu col cordino, senza saper nemmeno esprimere quale fosse la propria futile esigenza, intendendo per cordino, oltretutto, l’elastico atto a tenerlo chiuso stretto, quel diario agenda da euro quattordici che le frotte di clienti richiedono ed esigono, perchè la letteratura italiana la vogliono usata macerata lisa consumata ma scontata, e possono fare a meno del libro di religione ed educazione fisica e qualcuno addirittura non acquista il testo di filosofia o di storia dell’arte che tanto il professore non interroga, ma dannazione, non è concepibile presentarsi a scuola, domani, senza un diario adatto, senza IL diario, oggetto che i più pratici sostituirebbero con un quadernetto da mezz’euro…

Sconcerta, questo atteggiamento che punta tutto sull’immagine che piace/è ritenuta piacere agli altri. Sconcerta che i più bei taccuini in commercio, quelli che usava Chatwin, i più bei taccuini in commercio abbiano lanciato una moda (comprensibile) e prodotto un popolo, una progenie di vagabondi/randagi/pensatori/creativi con fissa dimora o esperienza estera in canadaaustraliainghilterraberlinobarcellona, una setta che a tracolla espone una borsa nera con lucina per leggere taccuino custodia per smartphone occhiali da vista inforcabili a doppio senso. E quel popolo ha le idee perchè le conserva in quei contenitori, mentre con un block notes non vai da nessuna parte.

Domenica sera, al nostro tavolo, durante l’aperitivo, un amico ha ordinato, dopo i cocktails, dell’acqua frizzante, senza menu. La cameriera solerte giunge con una bottiglia da zeroventicinque di acqua sanpellegrino, un quarto di litro d’acqua, un bicchiere, d’acqua, appoggia lo scontrino e dice, senza vergogna, anche perchè lei, poverina, che ha da vergognarsi, tre euro. Tre euro un bicchiere d’acqua. Dopo qualche minuto la mia fidanzata mi chiede se può ordinare dell’acqua, se ho i soldi. Le rispondo che mi sembra un po’ eccessivamente cara. Lei mi spiazza, e mi fa notare che ha sete, la sete non si comanda, si sente e si soffre. Io produco una smorfia, non di avarizia, beninteso, ma di rigetto. Perchè io la sete me la terrei, piuttosto che farmi fottere in tale maniera. Perchè non costa solo il triplo rispetto a qualsiasi bar, costa il triplo ed è la metà, costa sei volte quello che costerebbe in un bar e nasconde la malizia, la meschinità di una bottiglia iposviluppata commerciata ad un prezzo ipertrofico, e mi guardo intorno e noto che alla società con cui condivido la respirazione non interessa niente, perchè quei tre euro che corrispondono a mezz’ora della mia vita diurna, a oltre sei copie vendute dei miei libri, deglutiti in tre sorsi per necessità, perchè l’acqua non può essere un diritto solo alle urne, caspita, quei dannati stramaledetti esausti tre metallici euro passano completamente inconsiderati tra le mani della maggior parte di tutti. Perchè sei lì, all’ora d’aria concessa da un sistema sociale annichilente, ed è il momento in cui puoi dimostrare al prossimo, e soprattutto puoi fingere a te stesso, di essere libero, felice, stabile, tranquillo. Perchè le radiazioni è più bello prenderle da un telefono onnipotente da settecento euro che da un cellulare telefonante da ventitrè. Perchè la bicicletta o la compri rubata in Senigallia o la compri griffata, e in tal caso la rapina avviene alla cassa. Perchè è una storia vecchia come il consumismo e però in tempo di crisi, di manovre, di declassamenti, mi fa arrabbiare.

La risposta è evidente. Non siamo poveri, siamo solo abituati a un tenore di vita che non vogliamo ridurre. Non ci lamentiamo delle spese che rappresentano l’immagine che ci illudiamo di dare al mondo, ci lamentiamo delle spese che non appaiono. Vivo alla luce artificiale da diciotto giorni per guadagnare dei soldi. Soldi che mi sono costati troppo a livello esistenziale e psicologico per venire investiti in qualcosa che non piaccia o sia utile a me, ma sia utile soltanto a farmi credere di piacere al prossimo. Alessandro chiese a Diogene se avesse bisogno di qualcosa, Diogene replicò, spostati un po’ dal sole. Quello che non c’è per me da diciotto giorni, domani diciannove, è godermi il sole. Quello che non c’è ma di cui sarebbe utile perlomeno uno spettro incombente, è la fame. Imparare a provarla per apprezzare il saziarla.

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