All’età di venti quattro anni Ansel Adams, classe 1902, scoprì il vero amore. Certo non quello carnale di cui, immagino, avesse già avuto qualche esperienza giovanile, ma un sentimento più profondo e duraturo che sarebbe sopravvissuto anche dopo la sua morte.
L’amore, si sa, non è facile conquista. Pretende di essere compreso in tutti i suoi fini; esige disciplina, metodo e soprattutto dedizione.
Ad esempio, l’amore per la musica, i cui “fini” sono inseparabili dalla “tecnica”, richiede anni di studio e di esercitazione, altrimenti l’impulso degli esordi, per quanto fervido e dirompente, non riesce a crescere, non si sviluppa e a poco a poco si consuma fino a estinguersi.
Questo il giovane Ansel, da aspirante concertista classico, non poteva ignorarlo. Difatti, di fronte all’evidente mancanza di risultati convincenti, capitolò ai suoi limiti, assistendo al declino dell’entusiasmo e di tutte le sue ambizioni.
Il pianoforte fu per lui un primo grande amore, ma, in verità, un amore mai del tutto sbocciato, forse un amore impossibile. Ma, per fortuna, le cose ben presto cambiarono.
Nel 1916, durante una vacanza con la famiglia nell’odierno parco nazionale di Yosemite, rimase folgorato dalla visione di quei paesaggi sconfinati: e fu, di nuovo, amore a prima vista.
Dopo quel primo fugace incontro con la Natura selvaggia, ne seguirono centinaia di altri. Adams, però, fin da quei primi appuntamenti sviluppò un’immensa passione che coltivò con estrema cura, serietà e rigore, come uno studente bramoso di conoscenza. Una conoscenza però non più da trascrivere in note e accordi, bensì da dipingere nei variopinti e scintillanti bianchi e neri della fotografia.
Le sue immagini furono composte in memoria delle sofisticate partiture per pianoforte, seguendo variazioni armoniche, gradi tonali, scale cromatiche misurabili secondo precisi intervalli matematici: ecco nacque una nuova musica ma per i nostri occhi!
La Natura diventò una grande sinfonia romantica, strabordante di emozioni sublimi, quasi mistiche.
Purtuttavia, e mi si permetta il paragone ardito, come accade nell’amore profano dove tutto ha inizio dalla visione del corpo della persona amata, anche in questo processo di fusione panteistica, totale fra l’uomo e l’ambiente esterno non si poteva omettere la realtà oggettiva del creato: i deserti e le radure, i boschi sempreverdi, le cime delle montagne innevate, i cieli tersi e immensi e i laghi ghiacciati si specchiavano nell’obiettivo fotografico con precisione adamantina.
Adams non volle immaginare un universo ultraterreno, inaccessibile all’esperienza umana, ma proprio il cosmo reale, conoscibile e visitabile da tutti. Ciononostante lo trasfigurò con un incontenibile sguardo sentimentale, ne mutò il volto autentico e primigenio trasformandolo in un pantheon di figure mitiche, simboliche, ideali. Un paesaggio vero e al tempo stesso incantato.
Spesso gli amori che sbocciano in tenera età svaniscono presto, come una piccola influenza passeggera che scompare appena andata via la febbre. Si cresce, si guarisce e si dimentica. In questo caso, invece, potremmo dire che la febbre d’amore non s’è mai abbassata, ma anzi come un’inarrestabile contagio ha colpito tutti, rendendoci malati cronici a tal punto che di fronte alla potenza di quegli scatti abbiamo sempre delle fortissime ricadute.
Questo, per fortuna, non è un male oscuro, non provoca dolore, anzi ci dà sempre iniezioni di gioia, di benessere e gratificazione. Entrando in questa intensa comunicazione empatica con il mondo fotografato da Adams, i grandiosi scenari della Wilderness diventano riflessi di un’anima, personificazioni di un’anima cui sussurrare segreti confidenziali, proprio come si fa in un dialogo fra amanti con quel pudore e quel solenne rispetto che purtroppo ignoriamo durante le gite nei parchi naturali o le escursioni in montagna.
Attraverso la fotografia e i suoi straordinari libri illustrati Ansel Adams ci ha pure insegnato che amare la Natura significa “conservarla” intatta, proteggerla dalle barbarie tecnologiche e dalle mutazioni antropiche anche impegnandosi, come lui ha fatto per tutta la vita, sul fronte politico e costituzionale per conferirle i meritati riconoscimenti legislativi.
Fino al gennaio 2012 per chi volesse rendere omaggio alla Grande Madre Natura celebrata nelle immagini memorabili di Adams c’è un’ottima mostra, credo una delle più grandi retrospettive mai fatte nel nostro paese, presso l’ex-ospedale di Sant’Agostino a Modena. La Natura è il mio regno, s’intitola citando le parole dello stesso fotografo. Appunto un regno. Ma non il dominio secolare di un monarca assolutista, ma un’altra “Terra Santa”, un’oasi di consolazione e di bellezza per ogni uomo, da cui ripartire verso una nuova missione di civiltà.