Il Presidente della Repubblica, Napolitano, è intervenuto recentemente sulla questione del finanziamento pubblico all’editoria, accogliendo con parere favorevole le istanze presentate da alcune testate storiche sulla necessità di rivedere, evitando consistenti tagli, il meccanismo del finanziamento pubblico alla stampa. In particolare, il Presidente, avendo letto con attenzione la missiva recapitatagli, ha ammonito sui rischi che potrebbero derivare, ovvero la “mortificazione del pluralismo dell’informazione” e “la conseguente perdita del lavoro per svariate migliaia di giornalisti e poligrafici”.
In breve quindi, attuando una serie di drastici ridimensionamenti si favorirebbero le grandi testate, con alle spalle editori molto forti dal punto di vista economico, e si creerebbero disagi ai giornali già con problemi di bilancio(Unità e Manifesto in primis). Ed allora sorge la prima domanda; come fanno diverse realtà operanti nel mondo dell’informazione a sopravvivere senza alcun tipo di aiuto statale? Penso al fatto quotidiano, presente anche in edicola e, che per prima ha rifiutato di ricevere qualsiasi finanziamento statale; lo stesso vale per altri giornali importanti presenti sul web, e mi riferisco a Linkiesta, Giornalettismo ed altri. Anche loro in effetti hanno un nutrito gruppo di lavoratori a libropaga, ma non per questo ricorrono a forme di remuneramento che non siano quelli degli sponsor pubblicitari e dei lettori.
Il finanziamento pubblico all’editoria, ha acquistato notevole rilevanza grazie alle battaglie di Beppe Grillo(probabilmente l’antesignano in merito), e possiamo quantificarne la spesa pubblica in circa 600-700 milioni di euro ogni anno. Fra agevolazioni dirette per stampa di partito e movimenti, riduzione delle tariffe postali, credito d’imposta, contributi per l’acquisto della carta e costi di ristrutturazione, Il sole 24 ore, RCS(corriere) e il gruppo Espresso-Repubblica usufruiscono oltre 60 milioni di euro; la Stampa altri 7 milioni, 8-9 per l’Unità e 6 per Libero. E non voglio credere che tutti questi soldi vengono utilizzati solo per dare lavoro alla redazione di giornalisti e poligrafici, perchè altrimenti ci sarebbe lavoro non per 4mila persone, ma almeno per il quadruplo.
E visto che lo Stato non riesce ad adottare criteri di assegnazione più rigorosi nella ripartizione delle risorse, è cosa buona e giusta, iniziare a procedere con la scure dei tagli indistinti perchè altrimenti tutti i cittadini saranno costretti a pagare anche i giornali che non leggono, il che non mi sembra giusto. Se qualcuno vuole fare informazione, può tranquillamente reperire risorse economiche dagli sponsor, e chiedere un contributo ai lettori, che a loro volta apprezzeranno il buon lavoro svolto procedendo ad una donazione volontaria (magari tramite abbonamenti vari). Il pluralismo dell’informazione poi, potrà migrare tranquillamente sul web, dove -come già detto- si contano migliaia di esempi che quotidianamente si mettono in gioco nello scacchiere del giornalismo, e saluterebbero con favore un ridimensionamento corposo dei finanziamenti in questione.
Recentemente, il direttore di Libero, Belpietro, interpellato sulla questione a “L’ultima parola”, ha detto di essere contrario al finanziamento pubblico all’editoria(salvo poi ricevere graziosamente lo stesso i rispettivi). Allora iniziamo dalla stampa di partito a tagliare il necessario(almeno l’80% dei fondi, per poi progressivamente azzerare tutto), e saranno loro i primi a fornire il bell’esempio anche alle testate minori, in modo da liberalizzare l’intero settore dell’informazione e non chiedere più contributi che vengono sottratti anche dalle tasche di chi non ha mai sfogliato le pagine di un giornale.