Diciam la verità: questa cosa è davvero bizzarra, più di quella di qualche post fa. Adesso in Italia molti progetti son firmati da stranieri, e non tutti riescono bene… Questo diremmo che è un bell’esempio, e di certo c’è un trucco: come avere l’occasione di dedicarsi a un progetto così nobile, quasi un classico molto italiano, anche molto delicato? Non saremo noi a svelarlo, non è questo il nostro argomento.
Invece fatto sta che questo è un caso molto curioso e a suo modo esemplare per tanti motivi. Intanto si può dire che nessuna rivista italiana ha mai pubblicato questo progetto, inaugurato già da qualche anno, e quindi noi ci illudiamo così, documentandolo in questo piccolo blog, di fare un buon servizio a qualcuno. La coscienza almeno è tranquilla.
Strano però, perché ci sembra un esercizio della professione più che virtuoso, e poi un’occasione fortunata, quasi rara, così prossima al paesaggio, e ancora un’architettura garanzia perenne di una memoria importante, un’area archeologica simbolo di un territorio, insomma un’ottima cosa di cui dare notizia.
E allora cosa passerà mai per le teste distratte delle redazioni delle riviste specializzate? Forse una certa inerzia, tutta colpa di tutta questa comunicazione che confonde, che poi l’architettura se non ti sposti dalla scrivania mica la scopri… Finisci per pubblicare sempre le stesse cose degli altri, o prima o dopo.
È anche la prova esemplare di una collaborazione virtuosa fra professionisti, italiani e stranieri, forse proprio perché giovani, aperti e mobili in giro per l’Europa. C’è chi qui in Italia costruisce le condizioni migliori per un buon lavoro, tesse le indispensabili relazioni superando svariate difficoltà burocratiche e diffidenze di default, e poi ha anche l’intelligenza e modestia di chiamare qualcun altro, da fuori, a disegnare l’architettura, in effetti con una certa grazia di risultato.
Ecco di cosa si tratta, se non si fosse ancora capito dalle immagini: il progetto di una copertura stabile del sito archeologico del Santuario di Minerva, a Breno, in Val Camonica, firmato da María José Cuesta Rodríguez e Carlos Durán Alba (THE GLUB) e da Francesca Conti (Studio TeAM).
Copertura e scavi quasi non si toccano, il grande tetto vola al di sopra dell’area e si scompone per inseguire con la massima leggerezza il profilo della montagne. In fondo l’architettura, quando fa la sua apparizione, è buona (leggi bella), si capisce immediatamente, senza troppi ragionamenti.
Noi ci siamo stati quando ancora era in cantiere, vi assicuriamo che ne vale la pena e fa molto bene andarci in visita: allo spirito per amor di cultura e al fisico, per godere oltre al resto degli ultimi raggi di sole.