Non so mica se si tratti di una tattica vincente o di un errore da “alto sopra la traversa”. Sta di fatto che Matteo Renzi – da prima di ieri – piace, tanto a sinistra quanto a destra. Ha messo in piedi una «narrazione» sbarazzina e coraggiosa, ha sfidato i dinosauri provando a mischiare la sua esperienza a quella degli “ostinati” in un brodo primordiale che tutto è, tranne che una minestra riscaldata. Ha riso in faccia alle giacche sporche di forfora e zozze di naftalina dei «combattenti e reduci» della sua coalizione, e – badate – non è neppure caduto nella trappola del giovanilismo, nella retorica del nuovismo spinto: ha chiamato a raccolta un po’ di gente stanca di andare in giro con le tasche piene di sassi di un passato che non passa. Ed ha messo in scena uno spettacolo fighetto al punto giusto, innovativo quanto basta. Con poche idee fortuitamente geniali: la politica che è una cosa bella, internet che è una casa vera, i bimbi che sono una storia necessaria, i vecchi che sono una statua da sbriciolare, i principi che son battaglie da combattere, l’umiltà che è una missione da costruire, il coraggio che è un’energia tranquilla.
Piace pure a destra, il fu rottamatore, immagino per una ragione semplice semplice: il buonsenso non è che abbia un partito preciso, un logo e un inno. È una cosa tanto banale che ci siam scordati di praticarlo, e le proposte che vengono dagli speaker per 5 minuti della Leopolda di rivoluzionario hanno questo, sono forse banali come le cose necessarie. Il fatto che Vendola e Bersani si siano ritrovati d’accordo nell’urgenza di imbavagliare il sindaco di Firenze – che ormai si batte per la loro estinzione – è preoccupante «ma anche» rassicurante. E non perché costoro “hanno paura dei giovani”, “sentono il terreno franare sotto i propri mocassini” o altre considerazioni da tuttologo del niente e nientologo del tutto. E neppure perché Berlusconi ha qualche anno in meno della nonna di Matteo e insomma ‘sti dirigenti fanno politica da quando Renzi era un occhialuto concorrente della Ruota della Fortuna. Vendola e Bersani – con la loro bava alla bocca – rappresentano, al suo cospetto, le maschere contemporanee di quella conservazione contro cui si è scagliato Alessandro Baricco dal palco del Big Bang. Hanno atteso a lungo il proprio turno per salire sulla giostra parlamentare nazionale, mentre i destri – quasi ininterrottamente per vent’anni – ci hanno giocato all’impazzata. Si son fatti affascinare dalla favola bella della “democrazia dell’alternanza” tanto da finirci dentro: ora si sono illusi che tocchi a loro. E invece il primo cittadino viola scalcia, e fa bene – a mio avviso. Scalciare serve sempre, anche solo a farci riscoprire l’importanza degli zoccoli (che vogliono dire resistenza e cammino e – da tempo – li abbiamo declinati solo al femminile, nel senso di arrivismo patinato e improvvisazione impotente).
E – meditate – non è che sia un vezzo esclusivamente sinistro, quello di entrare a gamba tesa contro chiunque abbia il fiato buono per correre dalla difesa all’attacco. Forse non dovrei, ma ve la racconto così – solo per dirvi che Vendola e Bersani, quanto ad ottusità, sono in ottima compagnia. Avete in mente i giovani del centrodestra? Innanzitutto la notizia è che esistono, hanno l’età di mio padre ma esistono. In queste ore sta per scadere la compagna tesseramenti del partito del Predellino, ed è grande affanno in ogni dove: il segretario ha promesso i congressi territoriali per l’elezione dei quadri dirigenti e l’assalto alla diligenza. Ora: se per un attimo vi riuscisse di non pensare al rantolo ossimorico del binomio PdL – partecipazione, vi racconterei della guerra in atto tra le meteore della galassia young di questo partito universale. Un gioco al massacro in cui l’unica regola è fottere il compagno: vedeste l’attivismo di quei capetti che, con le freschezza dei loro trent’anni suonati, si son scarabocchiati sul biglietto da visita il ruolo di coordinatori intercondominiali degli Universitari per le Libertà. E s’affrettano a stoppare ogni tentativo di smarcarsi dal rigido incasellamento tra le gabbie della fu Alleanza Nazionale, della già Forza Italia (e di altre mille correnti che rinuncio a decrittare). La gioventù è terra ostile per chi intenda la politica come un’avventura responsabilmente spensierata. A soli 10 euro t’intaschi il distintivo e finisci trai tesserati pronti a votare per acclamazione il più scafato tra gli aspiranti portaborse al seguito del viceministro – son rottami di concetti che a me rievocano personaggi dai cognomi diversamente rassicuranti tipo De Mita o D’Alema, non credete?
Insomma, il guaio di questo millennio sono anche i cuccioli di dinosauro. Con Renzi c’entrano poco, e ne parliamo solo perchè quest’irruzione sinuosa tra le curve della storia di questo Paese è un sussulto cui ci piace partecipare: non assistere e basta, per una volta. Senza imbarazzi e rinunciando a tatuarci sulla pelle i mille difetti di questa generazione di disonorevoli che ci ha macchiato l’avvenire, toccherà esserci ed essere in tanti. Hai voglia che poi, al primo che prova a solleticare e sollecitare la speranza del vento nuovo, piovano addosso i voo doo degli stregoni di questo villaggio banale in cui siamo capitati. Ma ormai non fanno paura, ché il medioevo della superstizione politica finisce oggi. Buona vita!