Marta che guardaThis must be the place di Paolo Sorrentino

Magari è stata anche colpa della signora seduta accanto a me, che sciabattava con la bocca alla mia destra, e che mi ha costretto a guardare il film con un orecchio tappato (dovrebbero vietarlo per...

Magari è stata anche colpa della signora seduta accanto a me,
che sciabattava con la bocca alla mia destra,
e che mi ha costretto a guardare il film con un orecchio tappato
(dovrebbero vietarlo per legge di masticare la cicca al cinema).
Ma questa volta Sorrentino mi ha lasciato un po’ così,
mica tanto convinta, un poco infastidita,
nonostante la bellezza di alcune immagini,
la genialità di alcuni dialoghi,
quel surreale, che è suo e solo suo, disseminato qua e là,
ma meno del solito.
È che già l’ex pop-punk-rock star Cheyenne,
uno Sean Penn un tantino monocorde (oddio l’ho scritto!),
con quel falsetto fastidioso (ma dovrei sentire l’originale),
quell’aspetto così stereotipato,
quel forzoso parlare lento
non riusciva a convincermi né a farmi sua.
Poi anche quel giogineggiare compiaciuto di cotanta intelligenza (del regista)
mi è suonato troppo palesemente seduttivo nei confronti dello spettatore.
E la storia, che da confusa si faceva sempre più banale, mi feriva il cuore,
visto che di Paolo Sorrentino sto parlando,
uno che nasce come sceneggiatore di spiazzante originalità,
che ha firmato film che non riuscivo più a dimenticare per mesi interi,
e che ha scritto un libro, Hanno tutti ragione, che avrei sottolineato dalla prima all’ultima riga.
E mentre ero lì seduta in poltrona,
in mezzo a un bel centinaio di persone,
continuavo a pensare a Forrest Gump,
un altro stupido di rara intelligenza,
e al discorso di Steve Jobs ai laureati di Stanford,
un’esortazione a cercare e a fare nella vita sempre ciò che ha un senso profondo per noi,
perché solo così ci si può guardare allo specchio tutte le mattine
pronti a morire il giorno dopo.
Solo che questo connubio mi suonava troppo telefonato, come si dice in tv.
Troppo spiegato.
E so già che le domande che mi ha suscitato, svaniranno nel giro di una notte.
Peccato.
Resta il fatto che ci sono inquadrature che valgono la visione ripetuta del film,
fotogrammi come polaroid di una bellezza disarmante,
un personaggio, la moglie di Cheyenne (un’irresistibile Frances McDormand),
che vorresti fosse la tua migliore amica per tutta la vita,
e una colonna sonora che domani me la vado a comprare.
Ma la grandezza un po’ sporca dell’Uomo in più,
la perfezione algida delle Conseguenze dell’amore,
il grottesco spiazzante dell’Amico di famiglia,
la ferocia da entomologo che c’era nel Divo
qua sono solo echi appannati.
E non può essere tutta colpa delle due ore di masticanza molesta della mia vicina di poltrona.

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