Nella Parigi di fine ottocento per invogliare la popolazione cittadina a fare acquisti venivano regalati piccoli ticket promozionali con cui si poteva assistere a meravigliosi spettacoli a cielo aperto.
Da postazioni visuali molto privilegiate, e di non facile accesso pubblico, i possessori del biglietto potevano ammirare stando seduti su una comoda poltrona il mirabile paesaggio della storia e della civiltà umana sotto forma di piazze e palazzi monumentali, prodigi architettonici di ogni epoca, insomma un “bel vedere” dal valore inestimabile, capace di colmare gli sguardi degli attoniti spettatori di emozioni intense e di orgoglio smisurato.
La seduzione arcaica e tuttavia intramontabile della bellezza creata dall’uomo faceva da traino alla nascente seduzione delle merci industriali. Si capì subito quanto il fascino esercitato dall’estetica dei luoghi e dei monumenti pregni di arte e di storia poteva fruttare in termini di marketing e di conseguenza offrire un volano assai proficuo allo sviluppo dei consumi e dell’economia contemporanea.
Al pubblico potenziale cliente veniva regalato un cartoncino recante l’inserzione pubblicitaria di una ditta e, a volte, piccole illustrazioni d’intrattenimento al fine di rendere la suddetta proposta commerciale ancora più appetibile e conveniente. La facilità con cui le persone vedevano esauditi i loro desideri di bellezza e di piacere, li fidelizzava al marchio trasformandoli in clienti: la leva delle emozioni si dimostrava la strategia pubblicitaria più efficace.
Lo spettacolo dal vivo venne presto accantonato. Rimase soltanto quello virtuale dell’illustrazione a stampa, che, pur essendo incapace di trasmettere forti sensazioni in diretta, riusciva a lavorare durevolmente sul piano della fantasia. Grandi aziende come Liebig, Buitoni-Perugina, Lavazza e molte altre continuarono, lungo il corso del Novecento, a pilotare la resa commerciale delle loro merci con il ricorso a favolose iconografie estratte dai repertori popolari o inventate dall’estro di grafici e di illustratori talentuosi.
Il potere evocativo delle immagini rimase immutato negli anni, anche quando le loro dimensioni si ridussero, passando da “cartolina” a “figurina”, formato più piccolo e maneggevole, riproducibile a basso costo e conservabile senza alti rischi di deperimento. Questa, ovviamente progressiva, metamorfosi aumentò in maniera sensibile il valore concettuale dell’oggetto visivo. Se infatti all’inizio il famoso ticket consentiva di consumare un’esperienza estetica assolutamente intensa ma di fatto temporanea e irrecuperabile la figurina, all’opposto, offriva un’illusione artificiale permanente, replicabile all’infinito nello spazio intimo e privato dell’immaginazione. Da spot pubblicitario divenne così oggetto da collezione. In più l’esperienza estetica (emozione, piacere, desiderio) smaterializzata e la sua natura seriale, industriale aprirono ampi spazi di investimento per tante nuove informazioni a carattere didattico-istruttivo di cui, di solito, i prodotti destinati al consumo di massa erano privi.
La figurina, dunque, nel corso del novecento, non si è limitata a veicolare il business delle imprese, ma ha soprattutto contribuito alla diffusione e al tramando di un patrimonio culturale: ha raccontato storie, ha conservato memorie, ha rappresentato un immaginario collettivo e nel farlo ha alimentato la pulsione pseudo-feticista del pubblico acquirente. Oggetto trasversale e anti-elitario per eccellenza la figurina non ha diviso la società nazionale come hanno fatto altre forme di collezionismo, al contrario l’ha consolidata, nel senso che ha costruito un’enorme comunità, in continua crescita, di utenti-scambisti ( è assai nota la pratica dello scambio delle figurine di mano in mano alla ricerca dei pezzi mancanti necessari per completare la raccolta) che si riconoscono e si sentono eguali nei valori, nei contenuti e nelle idee riferiti dalle immagini che, in altre parole, sono la loro passione e ideologia. Certamente è un processo di massificazione, un fenomeno che descrive comportamenti regolati da stereotipi, ma grazie ad essi sono stati abbattuti steccati divisori fra ceti, etichette aristocratiche di casta; è stata cancellata la vecchia concezione esclusivista del valore a vantaggio di un’idea più popolare, trasversale e democratica. Le aziende più avvedute come la Panini di Modena, negli ultimi decenni, hanno captato e sviluppato la capacità di coesione e di relazione interpersonale della figurina realizzando gli “album”: veri raccoglitori “museali” dove salvare, organizzare e archiviare i frammenti figurativi per consegnarli alle generazioni future. Inoltre la Panini si è servita delle grandi narrazioni popolari provenienti dalla letteratura, dal teatro, dal fumetto, dal cinema, dalla televisione, dalla moda, e soprattutto dallo sport con una particolare predilezione per il gioco del calcio, vendendo milioni di figurine a milioni di giovani italiani. Su queste mitologie contemporanee si fonda ancora oggi la storia culturale del nostro paese. Ma il segreto profondo della loro fortuna e della loro durata sta tutto in quel minuscolo rettangolo di carta, quella finestra invisibile perennemente aperta su un orizzonte sconfinato, ben più significativo della autentica realtà quotidiana.
In questi giorni la gloriosa casa editrice emiliana ha capito come bissare i suoi successi. Da giovedì 20 ottobre è in edicola una nuova collezione di figurine dedicate alle bellezze, ai tesori artistici, storici e ambientali d’Italia tutelati dall’Unesco in cui finalmente potrà inscriversi la nostra identità nazionale per il presente e per il futuro.
Potrà infine compiersi quel magnifico progetto ideato dai Fratelli Alinari nel 1861 all’indomani dell’unità d’Italia, quando l’azienda-laboratorio dell’illustre famiglia fiorentina decise di aumentare la produzione e la diffusione di immagini fotografiche da inserire nelle guide turistiche, nei libri illustrati, nei manuali da disegno, nelle cartoline panoramiche e nelle diapositive stereoscopiche con i più bei luoghi della Penisola per far corrispondere alla tanto faticata conquista di un’unità politica nazionale un’altra conquista, di pari importanza, quella di una comune fisionomia di un paesaggio e di un patrimonio artistico-culturale senza tempo.
Oggi, nel solenne anniversario di quella data, si riparte da quello storico progetto, forse mai del tutto concluso, ma con nuovi destinatari che non sono più le classi imprenditoriali, le élite intellettuali o il turismo internazionale. Oggi quel viaggio virtuale nel paesaggio italiano si rivolge ad altri spettatori: alle famiglie, agli adolescenti, alle comunità scolastiche. Per essi il magico ticket della figurina riaccenderà i riflettori sullo spettacolo sensazionale della civiltà umana.
Attraverso le dinamiche ampiamente collaudate di un gioco a metà strada fra erudizione e passatempo, secondo la migliore tradizione del cultural-entertainment, la fotografia in formato “figurina-panini” allenerà le nuove generazioni a sentirsi finalmente “italiani”, così come desiderava Massimo D’Azeglio.
25 Ottobre 2011