Osservando l’andamento dei mercati, delle borse e dei titoli di stato italiani in queste ore, riporta alla mente Pietro Badoglio. Il maresciallo fu chiamato da Vittorio Emanuele III a formare un nuovo governo il 25 luglio 1943. Al termine di quel giorno Badoglio inviò un comunicato per affermare che “la guerra continua e l’Italia resta fedele alla parola data”.
Oggi come allora, la fine di una parabola politica e sociale, non è di per sé risolutiva dei problemi che nell’arco del suo svolgersi ha generato. 68 anni fa, dopo la caduta di Mussolini, la tragedia della guerra ridusse in macerie l’Italia. In questo autunno del 2011, è la mancanza di una seria alternativa a mandare il Paese in pasto alla speculazione.
Forse è anche questa consapevolezza ad aver frenato le manifestazioni di gioia e sollievo di gran parte degli italiani all’annuncio fatto ieri da Berlusconi di volersi dimettere dopo il voto sulla legge di stabilità. La borsa di Milano, al momento la peggiore delle europee, viaggia intorno a un -3,6% e il differenziale tra titoli italiani e tedeschi stamane ha toccato la quota record di 563 punti.
Che fosse ora di cambiare aria nei centri decisionali è opinione talmente condivisa da essere diventata un luogo comune. Tuttavia, resta da capire chi sarà in grado di prendere decisioni difficilissime e di farle digerire a un Paese prosciugato da 25 anni di aumento vertiginoso della spesa pubblica improduttiva e della conseguente pressione fiscale sui produttori di reddito (imprese e lavoratori). Decisioni difficili, non solo per recuperare sul debito e la credibilità internazionale, ma soprattutto per riportare l’Italia a un futuro di crescita economica.
Al momento, nessuno degli attori sulla scena sembra in grado di fornire garanzie a riguardo. In conclusione, la guerra continua, è vero, ma dovremmo avere il coraggio di cambiare i generali, nessuno escluso.
Signor Rossi