Fatti fosti a viver come Flipper, per seguir virtute e canoscenza

Immagina di avere appena terminato una cena a base di sushi, di quelle sontuose. Nel tuo stomaco non c’è spazio neppure per un ciuffo d’alghe, eppure allunghi l’occhio verso gli altri avventori, vi...

Immagina di avere appena terminato una cena a base di sushi, di quelle sontuose. Nel tuo stomaco non c’è spazio neppure per un ciuffo d’alghe, eppure allunghi l’occhio verso gli altri avventori, vicino a te, che stanno per essere serviti, solo per essere sicuro/a di non avere perso il meglio.
In effetti, al delfino accanto a te viene servito lo stesso pesce.

Già, perché tu sei un delfino e mostri una smisurata e inutile curiosità (non instrumental curiosity, direbbero gli psicologi) nei confronti dei tuoi pari, molto simile a quella osservata tra gli esseri umani.

E’ il risultato interessante di un brillante studio di alcuni sperimentalisti d’Israele, appena pubblicato sul prestigioso Journal of Economic Psychology e richiamato da animalwise.

Che gli esseri umani mostrino una curiosità spesso fine a se stessa, è noto.

Immaginate di sottoscrivere un’offerta con una compagnia telefonica per un contratto. La firmate e non potete più recedere. Eppure, alla prima pizza con gli amici, v’informate per sapere quanto pagano loro e se non sono riusciti a strappare, magari, un prezzo migliore. Acquistate un paio di scarpe in saldo e, il giorno dopo, vi fermate indifferenti davanti alla vetrina, tanto per verificare che lo sconto sia lo stesso.
L’essere umano non ama l’incertezza. È un’esperienza talmente painful, per usare termini benthamiani, che le persone, appunto, mostrano, anche dopo avere operato una scelta, una curiosità e una sete d’informazioni addirittura ridondanti. Shackle utilizzava il termine unknowledge (non conoscenza), per descrivere lo stato d’incertezza e imprevedibilità strutturale in cui le persone versano e dal quale agognano di uscire.

Di qui la curiosità e la voglia di sapere, anche quando tale voglia si dimostri di fatto inutile di fronte a una realtà che non può essere più modificata.

Già, tutto ok con gli esseri umani. Ma i delfini?
Fino ad oggi si analizzava il loro comportamento con i meccanismi “stimolo-risposta” di matrice utilitarista. Insomma, con le assunzioni spesso utilizzate dai modelli economici che studiano il comportamento umano.

Sei un delfino? Allora accendo la tua curiosità attraverso un incentivo (ovvero cibo extra) che ti induca a consumare più energie e aumentare i rischi che derivano dall’esplorare una parte di territorio fino ad oggi fuori dalle tue abitudini.

L’esperimento, molto ben congegnato dall’equipe israeliana, mostra invece per la prima volta che, anche tra i delfini, si manifesta spesso una curiosità fine a se stessa, simile a quella osservata per gli uomini.
In particolare, 8 delfini, per un periodo di 7 mesi, sono stati sottoposti a un trattamento particolare.
Gli animali venivano nutriti 5 volte al giorno, tutti nello stesso momento. Il cibo veniva distribuito da 3 imbarcazioni diverse e ciascun delfino veniva indirizzato a una delle 3 attraverso segnali sonori.
Alcuni delfini, inoltre, durante il periodo, sono stati sottoposti a una sorta di dieta (ricevevano il 15% in meno di cibo rispetto agli altri). E si è anche osservato il comportamento degli animali in seguito all’aumento dell’attività sessuale (indotta da un aumento della temperatura dell’acqua).
I risultati molto interessanti mostrano che, nel 26% dei casi, i delfini, dopo avere mangiato, “buttavano una pinna” verso le altre imbarcazioni, tanto per vedere cosa veniva offerto agli altri del gruppo.

Un risultato assai interessante è che si sono dimostrati più “inutilmente curiosi” i delfini non sottoposti a dieta (quindi, più sazi di cibo) e quelli appagati per un’accresciuta attività sessuale.
Gli scienziati hanno anche potuto escludere che i delfini visitassero le altre barche per ricevere cibo extra (solo nell’1% dei casi) o per qualche dinamica sociale interna al gruppo (madre – figlio, per esempio).

Insomma, una curiosità non strumentale, finalizzata al semplice gusto di “sapere per sapere”.
Le implicazioni sono interessanti, sia perché sarà possibile, e auspicabile in futuro, studiare il comportamento degli animali testando ipotesi relative all’altruismo o a un qualche criterio di giustizia distributiva; e sia perché, una volta di più, robuste prove scientifiche ledono le basi dell’utilitarismo come scienza della felicità.

E ora scusate ma, dopo avere scritto e pubblicato questo post, vado a rileggermi quello alternativo, cui avevo pensato, rimanendo col dubbio che potesse risultare più interessante.

Shani, Y., Cepicka, M., & Shashar, N. (2011). Keeping up with the Joneses: Dolphins’ search knowledge for knowledge’s sake Journal of Economic Psychology, 32 (3), 418-424 DOI

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