La kryptonite nella borsa (di Ivan Cotroneo, con Valeria Golino, Cristiana Capotondi e Luca Zingaretti, in conconrso al recente Festival del Film di Roma) è un film con l’ansia. Non però quella dello spettatore impaziente di scoprire l’esito della vicenda, bensì quella dell’autore attanagliato dalla condanna a fare qualcosa di alternativo sin dal titolo – perché questo ci si aspetta, o crede ci si aspetti, da lui – eppure masticabile, commerciabile.
Nello sceneggiatore (Ivan Cotroneo, padre, fra gli altri, dei copioni di Io sono l’amore, Mine Vaganti e della fiction anticonformista Tutti pazzi per amore) passato per la prima volta dietro la macchina da presa si sentono vive e starnazzanti tutte le pecche dell’autore che vuole dimostrarsi tale e finisce inesorabilmente (a tratti fastidiosamente) per far capolino in ogni piega della sua storia, per ricordare a tutti che lui c’è, sta lì dietro i personaggi, e tutto questo è opera sua.
Vediamo lui più del film. Lo vediamo nelle scene che aveva deciso di inserire a prescindere dalla loro utilità alla costruzione narrativa, semplicemente perché ne era innamorato, e che sono state forzate dentro la storia: su tutte, quelle di ballo spontaneo e casalingo peraltro ispirate dagli ultimi film (non riuscitissimi) di Ferza Ozpetek. Lo vediamo nella rincorsa a una marca stilistica che per qualche strano motivo dovrebbe essere originale a priori e per sempre, quella derivante da Il Meraviglioso mondo di Amelie di Jan-Pierre Jeunet, che però dopo una decina d’anni, ahinoi, originale non lo è più, tanto che fa persino tenerezza il tentativo di replicarla sperando che faccia ancora effetto solo perché dalle nostre parti siamo autorialmente tanto codardi che nessuno ci aveva davvero provato prima. Lo vediamo nell’incapacità di rinunciare-tagliare-eliminare subplot e personaggi che poco servono alla causa, nel tentativo, tipico dell’autore troppo innamorato delle sue creature, di far star dentro tutto, salvo trovarsi in mano un poutporri senza troppa spina dorsale, anche perché poi le carestie produttive italiche costringono comunque a rimanere sui 90 minuti di film.
Detto tutto questo, La kryptonite non è un brutto film. Semplicemente è un film dal quale l’autore non si è riuscito a staccare. Fallendo, così, la sua prima missione: quella di essere un Autore.