Negli anni ‘50 l’Italia cresceva a ritmi cinesi, negli anni ‘70 a ritmi tedeschi e negli ultimi vent’anni senza ritmo. Mai come ora è chiaro che occorre correre ai ripari anche perché al crescere del Pil cala il debito pubblico. Ma cosa occorre fare? Ecco allora tre domande che abbiamo inviato a un panel di uomini e donne dell’impresa, delle professioni, docenti universitari e politici. Periodicamente verranno pubblicate le risposte di una delle persone interpellate con nome, cognome e professione del rispondente.
Daniele Marini – direttore scientifico Fondazione Nord Est
1) Di provvedimenti per favorire la crescita ce ne sono diversi, ma a suo parere quali dovrebbero essere le prime due cose da fare subito?
Posto che la tassazione, almeno nel breve-medio periodo, non sarà comprimibile, opererei 1) sul processo di liberalizzazione dei servizi privati e privatizzazione servizi pubblici; 2) favorire, attraverso sgravi fiscali, i processi di imprese che si aggregano e/o innovano al fine di aumentare la competitività e strutturazione del sistema produttivo; nonché sulle assunzioni delle giovani generazioni
2) Che ruolo deve avere in questo senso lo Stato? Deve limitarsi a fornire al mercato le regole di cui ha bisogno per funzionare al meglio o deve intervenire direttamente? Se la risposta è la seconda, in che modo dovrebbe attuare questi interventi e in quali ambiti?
Lo Stato deve limitarsi a definire le regole e creare le pre-condizioni per lo sviluppo
3) Quali sono i settori su cui l’Italia deve puntare per uscire dalle secche? Perché questi e non altri?
I settori del Made in Italy continuano a costituire il punto di forza, grazie al brand di cui (ancora) disponiamo. Tuttavia, più che per settori, si dovrebbe spingere su alcuni processi che sono trasversali ai settori: ad esempio, una crescente terziarizzazione della produzione (che è molto presente anche all’interno del manifatturiero), attraverso innovazioni di processo e di prodotto, di brand, di ideazione e di contenuto dei prodotti e dei servizi. Inoltre, una maggiore attenzione va dedicata al circuito turismo-cultura-agroindustria-manifatturiero: le nostre regioni (tutte) sono ricche di grandi potenzialità che devono però essere portate a sistema