Se “la Cina sta guardando con interesse e preoccupazione a quanto accade in Italia”, come scrive Capozzoli nel suo blog, in sud est Asia l’interesse non sembra essere della stessa portata. Del resto, il ruolo politico-economico dei dieci Paesi dell’Associazione delle Nazioni del sudest asiatico (ASEAN – Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Singapore, Thailandia, Vietnam) non è in alcun modo paragonabile a quello dell’ingombrante vicino. Di Italia, quindi, da queste parti se ne parla veramente poco. E in quelle rare occasioni, lo si fa attraverso agenzie di stampa europee e clique già noti.
Eppure in alcuni paesi come il Vietnam, ad esempio, ancora godiamo di una certa credibilità e fascino, che ci potrebbero garantire rapporti duraturi e privilegiati. Questo se solo avessimo mostrato un interesse istituzionale e non esclusivamente legato a quello di gradi gruppi privati. In sud est Asia il nostro Paese è stato assente per anni. Troppi. Il governo Berlusconi ha platealmente scelto l’asse Mosca-Tripoli, facendo anche le fortune di aziende con partecipazione statale come l’Eni, snobbando totalmente una parte di mondo che già da oltre un decennio è il centro di numerosi interessi, non solo economici. Nonostante tutto, però, il ministro Giulio Tremonti ha provato comunque a bussare alle porte dell’Impero, con il risultato che tutti conosciamo.
Del resto, per anni siamo stati maggiormente interessati al letto regalato da Putin, alle stravaganze di Gheddafi e alle feste di Villa certosa, che assicurano un maggior numero di copie vendute, così come un alto numero di click su siti web che hanno dimenticato come fare informazione.
Se i mercati asiatici hanno accusato il colpo nei giorni scorsi, alimentando paure e timori, anche a causa dell’ambiguità italiana, le prime pagine telematiche delle maggiori edizioni est asiatiche sono state prese da altri problemi e vicende. In queste ultime settimane, infatti, alluvioni in Thailandia, Cambogia e Vietnam hanno causato la morte di centinaia di persone e provocato milioni di sfollati. Ma in fondo perchè interessarsene se non per mostrare foto curiose di persone alle prese “con l’acqua alta”? Se però l’11.11.2011 si registra un boom di matrimoni in Cina e in gran parte della regione est asiatica per via di una combinazione numerico astrale considerata particolarmente fortunata, i lettori e telespettatori italiani sono i primi a saperlo. Senza alcun dubbio. E questo, credetemi, non dipende solo dallo scarso interesse delle nostre istituzioni verso questa parte di mondo, ma da altre ragioni che riguardano per primi i nostri media, oramai, tranne rare eccezioni, incapaci di saper ascoltare, discernere e analizzare.
Mentre gran parte della stampa nostrana tenta pateticamente di far passare le dimissioni di Berlusconi come fosse una propria vittoria da festeggiare e osannare, portando in trionfo l’uomo della salvezza costretto a fare quei miracoli che al magnate della comunicazione non sono riusciti, qui, in Asia, si decidono le sorti del futuro. In parte anche del nostro, visto che oggi l’instabilità del singolo si ripercuote sul mercato globale. E di una buona fetta di futuro, se ne discuterà a Bali, che molti di voi conosceranno per le splendide spiagge e i fantastici tramonti. Non certo per essere una delle oltre diciasettemila isole che compongo quell’arcipelago di lingue e culture chiamato Indonesia: “il quarto paese più popoloso della Terra e il Paese più popoloso a maggioranza musulmana”. Paese da sempre snobbato dai nostri burocrati, pronti a puntare il dito contro i fedeli di Allah sempre e comunque. Tranne, appunto, quando si trattava di inchinarsi di fronte all’ex amico libico.
E così, mentre a Roma nelle sale del potere e degli istituti di credito italiani le solite facce e i soliti nomi della prima e della seconda repubblica ormai prossimi agli ottanta decidono delle nostre sorti, nell’isola indonesiana si riuniranno questo fine settimana i rappresentanti dei Paesi dell’East Asia Summit. Un forum composto dai dieci Paesi ASEAN, i tre Paesi dell’ASEAN plus three (Cina, Giappone e Corea del Sud), India, Australia, Nuova Zelanda, e per la prima volta anche Russia e Stati Uniti d’America, rappresentata dal cinquantenne Barack Obama, che nei giorni scorsi, anche in seno all’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC) tenutosi alle Hawaii, ha ribadito l’importanza strategica, economica e politica della regione Asia Pacifico. Una serie di impegni, quelli del Presidente statunitense, anticipata da un lungo saggio del segretario di Stato Hillary Clinton e pubblicato su Foreign Policy, in cui si sottolinea l’importanza di uscire dall’Asia centrale per dirigere sulle sue coste più orientali.
Mentre il mondo gira, il nostro Paese resta ancorato a proclami di riforme e tagli ai costi della politica cui ormai non crede più nessuno. Legato a doppio filo ad un’Unione europea sempre più divisa e incapace di reagire. Ostaggio di dati numerici e differenziali che non siamo più in grado di governare, gestire né tantomeno di capire e prevedere. Senza l’idea di un domani e costretti ad obbedire a gente di una generazione lontana anni luce dai nostri problemi. Noi, che facciamo parte di quel ‘mondo dei giovani’ che riempie le bocche di chi vorrebbe rappresentarci senza neanche volerci ascoltare.