Il picchio parlanteCasertano e Canova, tra impresa e crescita abbiamo dimenticato un altro assente illustre: il lavoro!

Ho letto con piacere nei giorni scorsi il dibattito avviato dai due blogger de Linkiesta, apprezzando in particolar modo la "lettera" del 14 dicembre di Casertano, con destinatario Mario Monti. Spe...

Ho letto con piacere nei giorni scorsi il dibattito avviato dai due blogger de Linkiesta, apprezzando in particolar modo la “lettera” del 14 dicembre di Casertano, con destinatario Mario Monti. Specialmente nella conclusione, c’è stata una frase, in cui talvolta mi riconosco e che potrebbe spezzare le ali anche ai più ottimisti: “Quasi non c’è più gusto ad essere italiani”. Purtroppo è giusto, visto che siamo ancorati ad alcuni miti del passato, e di innovativo c’è rimasto solo l’arte dell’arrangiarsi; gli unici momenti di unità sono quelli in cui gioca la Nazionale di calcio, e Berlino-2006 fa da testimone.

Per partecipare attivamente al proficuo dibattito da voi inaugurato, non vorrei volare alto citando un Keynes o un Laffer (il mio preferito è Marx, sono un nostalgico) anche perchè probabilmente non ne sarei in grado; preferisco allora soffermarmi su qualche dato che incarna l’attuale stato di coma profondo in cui versa l’Italia. Sono d’accordissimo sul fatto che la classe dirigente sta tartassando, come non accade altrove, la piccola e media impresa e che tutto ciò non sposa i principi di equità e giustizia.

Un piccolo imprenditore che paga tutto il dovuto dovrebbe essere considerato un eroe, un modello che se tutti avessero il buon senso di imitarlo, le casse pubbliche di colpo guadagnerebbero decine e decine di miliardi. Eppure i giovernanti non s’avvedono della sua esistenza se non quando c’è da aumentare l’imposizione fiscale. Assistiamo impotenti ad un mondo di Stati e di banche che si finanziano ripetutamente sul debito, creandone di ulteriore. Lo Stato è spesso insolvente nei confronti della popolazione e delle imprese, ma quando c’è da pretendere qualcosa dagli imprenditori onesti, così come dai lavoratori dipendenti e dai pensionati, nessuno può dissentire; occorre pagare. L’alternativa si chiama Equitalia!

E se parliamo di crescita le prospettive sono ancora più negative. Confindustria ha recentemente rivisto al ribasso le stime per il 2012. Si profila una recessione del -1,6%, e solo tra due anni, nel 2013, ci sarà un modesto +0,5%. Cominciano a spiegare i propri frutti tutte le manovre finanziarie approvate negli ultimi anni, e il decreto “Salva-Italia” è solo l’ultimo della serie, non di certo il peggiore. Ma di riforme a costo zero non se ne parla neppure, il coraggio per certe scelte sembra sempre mancare.

L’unica corporazione che riusciamo ad intaccare è quella dei tassisti. Con la manovra del precedente governo, avevamo colpito anche quelle degli estetisti, delle imprese di facchinaggio e di coloro che producevano margarina e grassi idrogenati. Le prossime lobby che potrebbero essere attaccate saranno i babysitter, le imprese di pulizie, i precari che fanno troppi straordinari, e gli studenti che lavorano a nero per pagarsi gli studi. Ma guai a toccare banche e assicurazioni, notai e avvocati, commercialisti, giornalisti e farmacisti. Allora si che succede la rivolta. Si potrebbe sbloccare un pò il mercato del lavoro, ma si finirebbe coll’inimicarsi baroni e potentati. Ed è proprio questo il mio punto d’arrivo.

Stiamo dimenticando qual è il fondamento della nostra Repubblica, ciò che permette all’individuo di realizzarsi e soddisfare i propri bisogni, le proprie necessità, i propri desideri. Il lavoro è il primo diritto che trova espressa menzione nella Costituzione al primo articolo della prima riga! Ma negli ultimi 4 anni si contano un milione di disoccupati in più. Il tasso di disoccupazione giovanile è arrivato al 30%, certo dietro alla Spagna, ma pur sempre tra i più allarmanti in Europa. Un giovane su quattro tra i 15 e i 29 anni, non studia nè lavora. Non possiamo lamentarci se abbiamo una fuga di cervelli-ma anche di manodopera, di braccia e di gambe- che è inarrestabile da qualche anno a questa parte.

E la recessione del prossimo anno non farà che aumentare questo disastro. Il tasso di disoccupazione è destinato a sfiorare il 10%, e le unità lavorative subiranno un ulteriore contrazione. E’ chiaro che queste prospettive inducono i giovani (ma non solo) a fare la scelta più coraggiosa possibile, ovvero quella di lasciare il Paese. Io però non lo lascerò fino a quando non mi avranno spezzato o tirato tutte le unghia e tutti i denti.

Arriverà il giorno in cui si tornerà ad investire sul capitale umano, che questa classe dirigente di cialtroni verrà sostituita da una più competente, che fare impresa e trovare un lavoro sarà più semplice di quanto immaginiamo. Io ci credo(e voi?), ed è anche per questo che ancora rimango in questo Paese. Anche perchè come dice il detto:”Più nera della mezzanotte non può fare” e a giudicare dall’oscurità, il momento difficile non può durare per sempre.

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