PMI e Italia: in risposta a Casertano e Formisano

Cari Francesco e Stefano, Sono lieto che il dibattito si sia acceso e si sia aperto su altri fronti: ora ci terrei anche ad approfondire due aspetti. Quanto al mio essere ideologico, colgo l’occasi...

Cari Francesco e Stefano,

Sono lieto che il dibattito si sia acceso e si sia aperto su altri fronti: ora ci terrei anche ad approfondire due aspetti.
Quanto al mio essere ideologico, colgo l’occasione per scrivere a Francesco che Marx piace anche a me. E Marx definiva l’ideologia come “falsa coscienza necessaria”, sovrastruttura che interpreta al meglio il contesto in cui si trova ad operare.
Ora, da questo punto di vista, e non mi sembra argomento sofista, trovo ideologico, e molto, proprio il pensiero di chi taccia di ideologico un semplice riferimento a scuole di pensiero diverse, ognuna con la sua legittimità e relativa importanza.
Sono vent’anni che il muro di Berlino è caduto. Eppure sono vent’anni che si parla di pensiero unico e ideologia, se non della fantomatica “terza via”, che la s’imbocchi da destra o da sinistra. Questo mi pare profondamente in linea con i tempi attuali dove, per l’appunto, l’agitarsi dei mercati finanziari (come uno spettro per l’Europa) detta l’agenda politica senza che ci si possa semplicemente riferire all’uno o all’altro pensatore.
All’una o all’altra scuola di pensiero.
Questo per me non è ideologia in senso marxiano (lo é proprio il suo biasimo), ma svilimento culturale, cui assistiamo inermi.
Quanto alla vessazione fiscale delle piccole e medie imprese, punto molto ben argomentato da Stefano, io non sono quello che sostiene la necessità di una pressione fiscale elevata.
Sono però tra coloro i quali cercano di comprendere quale sia il vero problema.
E qui ci sono i dati a parlare.
L’evasione fiscale, stimata in 120 miliardi di euro, consta di diverse voci.
I dati dell’Agenzia delle Entrate (studi USAGE) parlano chiaro: 33 per cento di base imponibile evasa dell’IVA, che è in costante crescita nel tempo dal 2008.
Per la tanto vituperata Irap, si è passati dal 27,3 per cento del 1998 al 21,9 per cento del 2001 (non conosco stime più recenti, che sicuramente esisteranno). Anche in questo caso, seppure in flessione, siamo a quasi un contribuente su 4 che “non contribuisce”.
L’economia sommersa, nel migliore dei mondi possibili, parla del 17 per cento del PIL italiano “in nero”.
Quanto alle ragioni di un quadro tanto fosco, vengono citate, tra le molte possibilità, le compensazioni indebite.
Si tratta di crediti falsi tesi a nascondere il fatturato. Per molti è una sorta di cassa continua dell’evasione, ad uso e consumo soprattutto di autonomi e PMI.
Quando sento, dunque, che la crisi potrebbe avere indotto gli stessi soggetti a una maggiore propensione all’evasione perché sono privi di coperture, il pensiero corre a lavoratori subordinati e parasubordinati.
E mi viene un po’ da sorridere.
Le Pmi hanno avuto una continuità ventennale di politiche favorevoli alla protezione d’interessi di parte: opinabile se tali politiche abbiano fatto il bene del paese, e delle stesse Pmi come sistema.
E tuttavia c’è un dato oggettivo a testimoniare il prevalere dell’ottica del particulare, con tanti cari saluti ai noiosamente citati distretti e al sistema paese.
Di fronte allo sbandierato obiettivo del 3% di PIL come spese in ricerca e sviluppo, l’Italia si ferma ad un mesto 1,2% (2008).
Quali caratteristiche delle imprese italiane frenano l’attività innovativa? Le cause vanno cercate soprattutto nellaframmentazione del sistema produttivo in una moltitudine di piccole imprese che hanno difficoltà a sostenere i costi elevati insiti nell’attività di ricerca e innovazione e ad assumersene i rischi. Attribuendo all’Italia la distribuzione degli occupati per classe dimensionale delle imprese prevalente in Germania, il ritardo dell’Italia rispetto alla Germania in termini di quota di imprese innovative nel settore manifatturiero si dimezzerebbe.
L’effetto negativo che deriva da una sfavorevole dimensione aziendale si somma frequentemente a una struttura manageriale selezionata all’interno della famiglia, che può risultare poco propensa all’innovazione, in particolare a quella organizzativa e gestionale, e a una carenza di capitale umano nelle funzioni operative, soprattutto manageriali e di ricerca
” (Bugamelli et al., lavoce.info, 2011).
Francamente sarebbe ora di rivedere i concetti di politica industriale e di fiscalità alla luce, appunto, di un rapporto tra economia e società profondamente mutato.

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