Gli effetti della crisi che ci è piovuta addosso possiamo considerarli analoghi a quelli di un’alluvione. Vediamo, per punti, in che senso.
Primo. All’inizio qualcuno aveva intravisto nuvole minacciose, ma nessuno aveva immaginato che il brutto tempo potesse durare così tanto (alternando tempesta e pioggia più leggera, temporali con fulmini in grado di abbattere governi, e poi chissà cos’altro ancora).
Secondo. Il nostro paese rischia di subirne maggiormente le conseguenze a causa di decenni di incuria del territorio. Fuor di metafora già prima della crisi ci trovavamo con molti freni alla crescita e un welfare inadeguato e inefficiente, oltre che con un debito pubblico debordante.
Terzo. Nella prima fase dell’alluvione ad essere invasi dall’acqua sono i piani inferiori dei palazzi. Finché il disagio rimane limitato alle fasce più basse della popolazione si rischia di sottostimarne la portata. Ma se l’acqua anziché fermarsi continua a salire, anche chi abita nell’attico non si sente più del tutto sicuro. La crisi oggi sta suscitando timori generalizzati proprio perché sta intaccando sempre di più il benessere e le sicurezze del ceto medio come dimostrano, tra gli altri, le analisi di Bankitalia e Acli (http://www.agi.it/milano/notizie/201112201407-eco-rmi0018-crisi_acli_milano_calo_redditi_ceto_medio_3_e_giovani_6_2)
Quarto. Il problema non è solo la crisi (con le sue cause e le nostre fragilità di partenza, temi sui quali sono stati versati fiumi d’inchiostro) ma anche la nostra capacità di reazione. I suoi colpi faranno più male, lasciando cicatrici durature, quanto meno siamo in grado di predisporre non solo difese ma anche strategie di contrattacco efficaci. In psicologia si chiama “resilienza” la capacità di affrontare con successo un trauma, uscendone rafforzati. Non riguarda solo il piano personale, ma anche la reazione collettiva. Due interessanti esempi (http://it.wikipedia.org/wiki/Resilienza_(psicologia)) sono quelli opposti delle grandi alluvioni del Po nel Polesine e dell’Arno a Firenze. Il Polesine subì a lungo le conseguenze del trauma con effetti depressivi pesanti sul suo sviluppo successivo, mentre la comunità fiorentina seppe essere più “resiliente” e superare l’evento calamitoso senza gravi segni duraturi.
Se oggi infatti pensiamo all’alluvione di Firenze ci vengono in mente i volti giovani e sorridenti degli “angeli del fango” impegnati a salvare libri ed opere d’arte, oppure la scena del film scanzonato “Amici miei (atto II)”. Nelle immagini dei documentari sull’inondazione del Polesine dominano invece gli elementi negativi, il senso di impotenza verso la tragedia.
A far la differenza, più che la portata della crisi in sé, sarà dunque la nostra capacità di resilienza. Niente alibi, quindi, dipende da noi. Poi, tra dieci anni, il tono lieto o cupo di un film ci dirà com’è andata.
21 Dicembre 2011