Cittadini, non sudditiA Monti due proposte e a Confindustria uno sberleffo

Leggendo la parte del decreto sulle liberalizzazioni che riguarda le professioni, la prima reazione che si prova è quella dello sconcerto. Vengono liberalizzate competenze professionali? No. Viene ...

Leggendo la parte del decreto sulle liberalizzazioni che riguarda le professioni, la prima reazione che si prova è quella dello sconcerto.
Vengono liberalizzate competenze professionali? No.
Viene eliminato qualcuno dei mille lacci e laccioli nuovi e vecchi che gravano sugli operatori del settore, i liberi professionisti, quali ad esempio quelli assicurativi e di formazione continua? No.

Vengono semplicemente abolite le tariffe professionali, dopo che lo scorso agosto il Governo Berlusconi le aveva già liberalizzate, sancendo la derogabilità dei minimi tariffari. Tutto qua.
Anzi no, perché, contestualmente, viene introdotto l’obbligo per il professionista di fornire al cliente un preventivo scritto, dettagliato e “onnicomprensivo”.

Hanno ragione i sindacati dei commercialisti quando, nel loro comunicato congiunto (si veda “I sindacati in blocco contro le liberalizzazioni” di oggi), sottolineano che non si è mai vista al mondo una liberalizzazione che non elimina un vincolo che sia uno per l’esercizio di una determinata attività e che, anzi, ne aggiunge di nuovi.
Allo sconcerto, segue però la rabbia. E non è la rabbia ottusa di chi pretende tariffe minime inderogabili e nessun obbligo. Anzi: togliamo subito di mezzo la questione “tariffe obbligatorie” che mai ha appassionato i commercialisti italiani.

Possibile, però, che il Governo Monti non intervenga, in sede di liberalizzazione, sull’obbligo di assicurazione professionale, introdotto “con l’accetta” dal Governo Berlusconi, per specificare che detto obbligo sussiste solo in relazione a prestazioni e attività riservate a coloro che sono iscritti ad uno o più ordini professionali? Se, per esempio, un commercialista svolge esclusivamente attività di consulenza tributaria o un avvocato svolge esclusivamente attività di consulenza giuridica senza mai patrocinare direttamente in giudizio, perché devono essere obbligati a sottoscrivere una polizza assicurativa e garantire la clientela da danni che, se quella stessa attività venisse lecitamente prestata da un non iscritto all’Albo, non sarebbero obbligatoriamente accompagnati da quella garanzia?

È possibile che il Governo Monti introduca esso stesso “con l’accetta” un obbligo particolarmente stringente di preventivo scritto, senza apporre alcun tipo di distinguo in funzione della tipologia della clientela?
È del tutto evidente che, nello scrivere questa norma, il Governo Monti ha in mente il “perfido” avvocato che segue la causa di divorzio di una giovane coppia di metalmeccanici, o quella condominiale di una vecchina ultranovantenne. Ogni obbligo amministrativo, tuttavia, tanto più nel contesto di un decreto di liberalizzazione, dovrebbe essere ispirato a criteri di proporzionalità.

Anche per molte norme che attengono alla trasparenza bancaria esiste una gradazione negli obblighi informativi parametrata alla tipologia della controparte. Perché non limitare, ad esempio, l’obbligatorietà del preventivo al caso in cui la controparte del professionista sia un privato cittadino e lasciare invece che, quando la controparte è un’impresa o un ente, sia lo strabenedetto mercato a decidere se rivolgersi a professionisti che fanno preventivi impeccabili, preventivi generici o nessun preventivo? Ecco due proposte di cui i commercialisti potrebbero rendersi promotori, per distinguersi in positivo dalla marea indistinta di tutti coloro che sanno solo protestare, ma soprattutto per ripristinare, negli obblighi, la stessa gradualità che accompagna la pregnanza delle prerogative riservate agli iscritti, la quale è assai diversa da Albo ad Albo.

Il tutto senza nel mentre perdere di vista, nella interlocuzione con la politica e con il Governo, la questione dei collegi sindacali.
Se infatti stanno facendo passi avanti, nelle aule parlamentari, gli emendamenti finalizzati a ripristinare la certezza giuridica in merito alla obbligatorietà del collegio sindacale nelle srl di maggiori dimensioni, si registra in parallelo il tentativo di inserimento, nel prossimo decreto sulle semplificazioni, di una norma di interpretazione autentica finalizzata a blindare definitivamente il blitz dello scorso novembre sul sindaco unico.

La musa ispiratrice di cotanta meraviglia è sempre la stessa.
Quella Confindustria che, se, negli ultimi tre anni, un terzo delle energie dedicate a cercare di far passare i sindaci da tre a uno le avesse spese a spiegare che non ci potrà mai essere vera riduzione di oneri, fino a quando non saranno ridotti da tre a uno i politici e pure i dipendenti e dirigenti pubblici impiegati negli uffici a minore produttività, avrebbe reso un servigio tre volte maggiore alle imprese che rappresenta e all’intero Paese che vive di economia privata. Esistesse il reato di concorso esterno in associazione statalista, i vertici nazionali di Confindustria dovrebbero trovarsi un buon avvocato.
Senza tariffe, of course.

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