Media e dirittiAddio al beauty contest: e ora?

Le frequenze liberate con il passaggio dall’analogico al digitale non saranno donate ai vecchi operatori della televisione, sempre che quanto decide il Parlamento abbia ancora qualche valore.Il Gov...

Le frequenze liberate con il passaggio dall’analogico al digitale non saranno donate ai vecchi operatori della televisione, sempre che quanto decide il Parlamento abbia ancora qualche valore.

Il Governo ha infatti accolto tre ordini del giorno che lo impegnano ad annullare il bando di gara che assegnava gratuitamente i diritti d’uso delle frequenze e ad adottare un diverso processo di assegnazione.

Resta un dettaglio: che fare con queste frequenze?
In tempi di economia di guerra, la risposta pare ovvia: organizzare presto un’asta in modo da ricavare il maggior introito possibile. Se questo è il fine, la via è tracciata: aprire la gara agli operatori telefonici e consentire loro di utilizzare le frequenze per la banda larga mobile, oggi e probabilmente in futuro la più affamata di nuovi spazi. È certo una soluzione sensata, ma ha un prezzo: spegnere l’ultima illusione sulla possibilità che sorga in Italia un mercato televisivo davvero concorrenziale e sia finalmente raggiunto un livello di pluralismo informativo comparabile con quello delle democrazie occidentali.
Quale l’alternativa? Rinunciare a parecchi soldi e riservare l’asta delle frequenze a chi vuol fare televisione: ovviamente non a chi ha già molti multiplex e già oggi dispone di un numero di canali senza pari in Europa, ma ai “nuovi entranti”, ovvero a chi, dai grandi operatori di rete alle piccole televisioni locali, possa divenire una serie alternativa all’attuale mercato duopolistico della televisione digitale terrestre. Sarebbe un’operazione certo in linea con i comandamenti dell’Unione, che ha più volte chiamato il legislatore italiano a riequilibrare gli evidenti vantaggi concessi a RAI e Mediaset. Soprattutto, sarebbe un investimento di un prezioso bene pubblico per quell’araba fenice invano inseguita nell’ultimo trentennio: un sistema televisivo competitivo e plurale.

Ne vale la pena? è ancora il caso di illudersi che le piccole televisioni, fragili vascelli, possano affrontar del mondo la burrasca o che il governo dei saggi sia in grado di incidere sulla più formidabile e solida macchina del consenso esistente in Italia? oppure è una battaglia perduta, sono denari pubblici mal spesi e solo attraverso altri media si può creare nel nostro paese un più equilibrato sistema informativo?

Attendiamo la risposta dei nostri speriamo venticinque lettori. Noi ingenuamente pensiamo che la partita del pluralismo televisivo vada giocata, sino a quando anche la tv generalista, straordinario e potentissimo mezzo, non sia matura per la falce.

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