Da oggi nelle sale, “L’industriale”, ultimo film di Giuliano Montaldo. Un film che racconta la difficile situazione economica contemporanea attraverso la storia di un giovane industriale torinese che cerca di salvare la sua fabbrica dal fallimento.
Nicola Ranieri, ha ereditato la fabbrica dal padre, un ex operaio diventato proprietario. L’impresa si occupa di componenti ecologici ma non ha finanziamenti per investire in innovazione ed è anzi strangolata dai debiti e dalle banche che nel film sono la rappresentazione senza troppe sfumature di un’alta finanza priva di scrupoli.
Crisi economica e disgregrazione degli affetti vanno di pari passo in una Torino simbolica più che reale, una terra desolata in un mondo che crolla, cupa e fatiscente tranne che negli stucchi e nei drappeggi dei palazzi dei patrimoni antichi (i colori desaturati della pellicola, come in un instagram depressa, sono efficaci nella loro claustrofobica seppiatura, anche se un po’ troppo estetizzanti).
È una crisi raccontata attraverso lo spaesamento di Nicola e sua moglie, anche se le psicologie dei protagonisti sono solo abbozzate e le altre figure fanno da sfondo cartonato bidimensionale (gli operai della fabbrica in crisi o il garagista rumeno che Nicola pensa essere l’amante della moglie) o da impedimento maligno (banche, finanziarie e speculatori assortiti). Il film non vuole essere quindi analisi sociale o film documento ma è un’istantanea, non certo consolatoria, di una realtà nel nostro paese oggi.
Alla fine, la soluzione per l’industriale sembra arrivare grazie alla congenita creatività dell’animal spirit italiano, tanto familiare nelle commedie dei tempi d’oro del cinema italiano. Ma gli stratagemmi messi in atto per evitare di far fallire l’azienda, come per aggiustare un matrimonio in crisi, portano solo ad una momentanea illusione di successo. Fino all’epilogo tragico, in cui la narrazione centrale del declino economico e l’apparente digressione verso il mondo privato del rapporto tra l’industriale e sua moglie, svelano la loro complementarietà nel denunciare l’incapacità di muoversi in un mondo complesso e non del tutto controllabile, in cui strategie usuali e sotterfugi non possono portare a nessun futuro.