Ricomincio dal vinoLa scoperta dell’ovvio

Qualche volta quando si tratta di raccontare i vini bevuti, vengo preso dagli scrupoli. Già perché può sembrare un pavoneggiamento. In modo analogo a quanto fanno i presunti esperti di cinema o di ...

Qualche volta quando si tratta di raccontare i vini bevuti, vengo preso dagli scrupoli. Già perché può sembrare un pavoneggiamento. In modo analogo a quanto fanno i presunti esperti di cinema o di musica, c’è un’ostentazione di quanto si è visto, bevuto, ascoltato. Quasi che fosse una competizione in cui chi ha più esperienze dell’oggetto di culto può ritenersi più competente di chi ne ha fatte meno.
È un atteggiamento dannoso, perché in negativo considera il neofita e il curioso incapaci di comprendere la bellezza di quell’esperienza estetica, generando spesso complessi di inferiorità in chi non è dentro il mondo specializzato, e di superiorità in chi invece ha la pretesa, spesso autoattribuita, di essere un esperto.

Oltre al numero poi ci sono gli oggetti quelli che se non li hai esperiti allora non puoi nemmeno parlare e se invece hai avuto l’occasione allora sei il più figo del mondo e depositario della verità.
Non hai bevuto un Château Petrus , sei un nessuno. Hai bevuto un Domaine de la Romanée-Conti, be’ allora tu sì che puoi capire cosa vuol dire l’eccellenza, tu solo o grande saggio, puoi dirmi che il Monfortino non può essere paragonato con nessun vino sul pianeta. E cosa c’è dunque di così eccezionale nel Monfortino?
La setosità.
Chiuse le comunicazioni. O l’hai assaggiato o non esisti.

Apprezzare il vino, come per tutto, è questione per prima cosa di passione. Cioè ti deve piacere, tanto. Poi c’è la volontà di conoscere. Poi vengono lo studio e l’esperienza. Poi la mania e l’ossessione!
Ma comunque ogni bevuta è un’interazione fra un liquido alcolico fermentato dall’uva e un apparato complesso deputato a valutare odori e gusti e consistenza delle cose da immettere nel corpo. E questo complesso apparato lo usano tutti, senza eccezioni. Quindi degustare dev’essere per forza un’attività democratica.
E quindi dove sta la differenza fra chi capisce e chi non capisce di vino?

Io non ho alcun titolo di conoscenza del vino, ma ricordo che sedicenne (oggi sarei fuori legge e i miei genitori arrestati insieme al negoziante, probabilmente) andavo in un minimarket in via Palermo a Milano, che si chiamava Boselli, che aveva una discreta scelta di vini. Con la mancia mensile che mi passavano i miei dovevo stare attento, così succedeva che passassi decine di minuti a leggere etichette e soppesare bottiglie, cercando un vino da bere la sera con gli amici/compagni di liceo.

(Newpress) Studenti davanti al Liceo Parini

Ricordo ancora il dubbio fra gewürztraminer e müller turgau di qualche Cantina di Produttori dell’Alto Adige sulle quattromila lire e a volte l’azzardo di andare su un dolcetto di Dogliani (credo fosse Gillardi) sulle ottomila!
Da allora avrò passato migliaia di ore davanti agli scaffali del vino dei supermercati e dei negozi di ogni dove.
Solo poco più di tre anni fa ho realizzato che il parametro per conoscere il vino era l’attenzione che dedicavo all’assaggio. Così ho cominciato a scrivere di tutto ciò che bevevo su quaderni, blocchi, blocchetti, tovaglie di carta, tovaglioli…

Una costante della mia vita è aver avuto dei momenti di folgorazione in cui ho capito ciò che era ovvio! Tu dimmi com’è possibile che io sia arrivato oltre i trent’anni senza capire che bastava bere con consapevolezza per iniziare a conoscere il vino!
Però è questa consapevolezza imposta con autodisciplina che fa la differenza, insieme all’onestà intellettuale e al dubbio. Due miei chiodi fissi.
Ma anche i tre strumenti base con cui costruire un mondo!
L’autodisciplina ti crea l’automatismo a verbalizzare e rendere pensieri gli odori i sapori e le consistenze. Con tutto!
L’onestà intellettuale obbliga a non raccontarsi balle su ciò che si percepisce. Che so, davanti a un bianco uno magari si aspetta pesca ed è facile che ci si convinca di sentirla anche se non c’è!
Il dubbio: quello è fondamentale, perché degustare ti mette in una posizione divina (il dio che crea le cose nominandole e giudica) e può dare alla testa. Quindi ogni tanto (spesso) dobbiamo ammettere che non ci abbiamo capito molto e che forse quello che ci sembra non è come ci sembra!
Dunque dicevo questi sono gli arnesi che bastano per iniziare.
E ce li abbiamo tutti.
Certo ci sarà qualcuno più dotato come palato, olfatto e capacità analitiche. I talenti sono ovunque, ma anche loro senza i tre arnesi secondo me non vanno poi tanto lontano!
Poi usandoli abitualmente si diventa più esperti, non c’è dubbio.
Ma non lasciatevi mai, mai, mai fregare dall’esperto di turno.
Non sentitevi da meno.
Provate a usare gli strumenti, ce li avete e sono gratis (quasi).
Ascoltate chi è più esperto solo se si fa capire e vi spiega come usar meglio gli arnesi.
Se si isola nella sua saggezza.
Voi chiudetevi nella vostra: guardate il bicchiere e il suo contenuto, roteatelo, annusatelo, sciacquatevi la bocca come vi viene, anche violentemente, succhiate, deglutite… vale tutto; provate a dire ciò che sentite.
È solo l’inizio, ma dà una bella ebbrezza!

Ebbrezza della vendemmia, di Carla Ippoliti©, presa da http://www.fotocommunity.it

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