The series killerPan Am, una sciatica seriale

Ci ho provato, davvero. A rintuzzare il mio “dark passenger”, a mettermi indivanato con moglie a carico per cominciare pieno di buona volontà Pan Am. Il fatto è che di questi periodi riesco a racim...

Ci ho provato, davvero. A rintuzzare il mio “dark passenger”, a mettermi indivanato con moglie a carico per cominciare pieno di buona volontà Pan Am. Il fatto è che di questi periodi riesco a racimolare a stento mezzora ogni due giorni da dedicare al mio hard disk. Per cui o mi convinci subito, o comincio a stendere teloni di plastica in salotto. Ti massacro subito, altrochè, e me ne frega degli schizzi di serie sui soprammobili. Dunque Pan Am. Per la trama mi affido al mio collega esperto:

L’anno in cui si svolge è il 1963, si narra di una generazione di ragazze che rifuggono lo schema marito-figli-casetta con prato in periferia. Una delle protagoniste, Laura, lascia lo sposo all’altare perchè terrorizzata da una prospettiva di vita alla Samantha e scappa letteralmente di casa per farsi assumere alla Pan Am e girare il mondo. Sua sorella Kate era già fuggita anni prima e si era messa addirittura a fare la hostess-spia della Cia.

Ecco, dato per scontato che al pilot di Pan Am non basta il gioco di parole (il pilot… la compagnia aerea… vabbè) per guadagnare la mia indulgenza, al secondo episodio affilavo coltelli con la sapienza di un maniscalco del west. Al terzo abbandonavo la nave inquartata, puntando il telecomando sulla tv generalista. Ma piuttosto il Grande Fratello, guarda. Per un attimo di benevolenza pura mi ero pure fatto piacere la patinatura creata ad arte per introdurci alla favola degli anni 60. Hostess bone, piloti biondi con gli occhi azzurri, tonnellate di clichè. Però poi il nulla. Nessun ritmo, nemmeno uno slowplay d’apparenza. Idee insulse pure a volerne svelare l’anima da fumettone caricaturale. In confronto a Mad Man, l’atmosfera retrò pare arraffazzonata, che nemmeno una parola con tre doppie rende l’idea. Una roba da softporn d’epoca, senza autoironia.
Che dite, basta? Non so, forse m’ha preso male dall’inizio: sarà che il primo episodio pareva una lunga intro di un Airport qualunque. O sarà che – parafrasando Umberto Eco – l’entusiasmo per una serie “dipende dall’umore, dal clima, dall’umidità che c’è nell’aria, come le sciatiche”. Ecco, Pan Am è la mia sciatica. Non ho tempo per serie brutte. Perché vorrei averne per quelle belle. E questa è una recensione di frustrazione.

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