Sonar: segnali di mobilità in-sostenibileCome spendere il miliardo per incentivare le città intelligenti? Darlo ai cittadini.

Uno dei fattori cruciali che si annida tra le righe della collaborazione attraverso i network sociali è la responsabilità che di botto viene messa nelle mani di chi è davanti allo schermo di un pc ...

Uno dei fattori cruciali che si annida tra le righe della collaborazione attraverso i network sociali è la responsabilità che di botto viene messa nelle mani di chi è davanti allo schermo di un pc o di uno smartphone. A mio avviso non ce ne rendiamo davvero troppo conto. Dei network sociali elogiamo indistintamente la democraticità, il condividere, soprattutto il denunciare. Ma quando si tratta di fare siamo molto più timidi. Sanremo ne è un esempio. In molti abbiamo twittato tutto il malebenedicibile. In pochi, invece, si sono presi responsabilità del fare mettendoci la voce (e la faccia grazie anche alla possibilità offerta dalla onorevole testata che mi ospita). L’argomento Sanremo è decisamente capzioso, per di più si parla di arte e ci vuole una qualche qualità (la battuta che avete avuto tutti in mente a questo punto la potete girare direttamente a Crozza) per mettersi in gioco. D’accordo: allora perché non proviamo a metterci in gioco dove l’unica qualità che serve è decidere di farlo?

Il tema, lo avrete capito, è quello del crowdsourcing che rappresenta un utilizzo delle funzionalità permesse dal social networking, soprattutto attraverso i device mobili, oggi solo agli albori del proprio potenziale . Soprattutto in alcuni contesti, come quello del trasporto sostenibile. Avete mai pensato alla responsabilità – positiva, costruttiva – che abbiamo di poter immediatamente (e praticamente) aiutare qualcuno a superare un ostacolo per noi inesistente, per altri insormontabile?

La settimana scorsa mi sono trovato in una riunione in Canada con la Rick Hansen Foundation che ha lanciato una iniziativa ambiziosa e proprio per questo degna di nota. Rick Hansen è un signore che nel 1973 è letteralmente volato dal retro del pick up su cui si trovava di ritorno da una giornata di pesca, ha subito una lesione spinale e da allora lavora per rendere più facile la vita a chi si trova nella sua stessa situazione. Niente di nuovo tutto sommato, se non il fatto che Rick, suo malgrado, è uno davvero esperto di problemi di mobilità. Con il progetto Global Accessibility Map sta cercando di costruire una mappa dei luoghi accessibili ai disabili di tutto il mondo. Uno sforzo titanico sulla carta, molto meno sul web. Gli ingredienti sono i soliti: una applicazione che fa da collettore, il passa parola, i contenuti accessibili via digital channels e poi il famoso ingrediente magico, il fattore umano, voi, noi, tu, io. A differenza di molte lodevoli iniziative di denuncia (e-part, la stessa Uribu citata da Linkiesta qualche giorno fa) dove si coinvolgono i cittadini a dare segnalazioni a non si sa chi (ancora denuncia, molto meglio allora Iris che ha lanciato il Comune di Venezia già tre anni fa: almeno le segnalazioni vengono incanalate in un processo e sono verificabili nel loro status da parte di tutti i cittadini) in Global Accessibility Map le segnalazioni servono, ad esempio, a far si che una persona disabile sappia subito se passare o meno da una determinata strada, zona, marciapiede, fermata. Perché passare di lì o meno – per certe persone – non è un vezzo è, nella maggiorparte dei casi, un obbligo. Tre anni fa, nel nostro piccolo, abbiamo lanciato un progetto così a Nettuno (per chi ha seguito le mie avventure a Parigi su questo blog è in quell’occasione che ho conosciuto Eleonora) e lo abbiamo portato a settembre di quest’anno fino a New York: AccessMyNyc è una app accessibile sperimentale che una volta definito il tuo profilo di disabilità ti dice quale mezzo puoi prendere e quale strada percorrere aggiornando i dati in tempo reale sia con le informazioni provenienti dalle aziende di trasporto (oggi quella stazione dotata di ascensore accessibile alle carrozzine è chiusa per manutenzione, per cui ti consiglio di scendere a quell’altra stazione), sia con le segnalazioni delle persone. Londra ha lanciato da poco una applicazione fatta con la stessa logica che vi invito ad andare a vedere per quanto sia ben costruita, ad esempio, la sezione dei profili. Già che ci sono non posso non citare quanto sia fatto bene il documento per la mobilità sostenibile in vista delle Olimpiadi: se posso permettermi di suggerire a qualche nostro amministratore, c’è solo da copiare niente di più. Roberto Scano (uno dei veri guru dell’accessibilità in Italia assieme a Marco Bertoni) mi ha segnalato una iniziativa australiana simile a quella di Rick, o ancora la bella applicazione Wheelmap made in Germany che ha avuto l’intuizione di coinvolgere le community (quelle socialmente sveglie come il Cisv, mica dei tecnici) per stimolare la mappatura dei luoghi.

Stati uniti, Inghilterra, Australia, Germania. Maledizione, mai che ci fosse una cosa innovativa sul sociale fatta in Italia. E invece guardate un po’, vi ho fregato: anziché fare il solito Severgnini pro-qualsiasicosabutitaly ho fatto il Roberto Bonzio e mi sono tenuto una palla da schiacciare proprio per mettere a segno il punto decisivo nel finale di partita. Così non potete fuggire dalla vostra coscienza e alla vostra buona responsabilità sociale. A mio avviso la migliore iniziativa in circolazione a livello globale è nata in Italia ed è qualcosa di mostruosamente ben fatto. Inarrivabile per qualità, ricchezza, metodo, dettaglio, logica. L’ha messa in piedi la Cooperativa Independent di Merano guidata da Enzo dell’Antonio, che se si chiamasse John e vivesse negli Stati Uniti oggi sarebbe quantomeno Vicepresidente a fianco di Obama (senza nulla togliere al suo nome e a Merano).

Si chiama Comunipertutti e, dopo una beta test in un piccolo comune del meranese, oggi mappa “solo” (sic) la città di Bolzano in attesa che qualche lungimirante lo prenda come standard e obblighi gli altri 8000 comuni italiani a seguirne la logica. Non ci vuole molto e noi come cittadini possiamo fare molto, anzi: tutto. Basta che qualcuno ci dia gli strumenti. Questi signori di Independent non scherzano per niente e messo a fuoco un metodo lo applicano: un paio di anni fa si sono messi lì e hanno recensito l’accessibilità di tutte (ma dico tutte!) le strutture ricettive dell’Alto Adige, cosicché se per caso voleste sapere come è fatta la stanza da bagno di quell’albergo o come è la stradina che porta dal parcheggio alla reception lo potete fisicamente verificare sul sito web e decidere se è adatta alla vostra disabilità oppure no.

Non si può usare la leva della “sostenibilità” (parola passpartout) per riposizionare, ad esempio, l’offerta turistica del nostro Paese? Cosa ci vuole se i cittadini – residenti o turisti, italiani o stranieri – sono già pre-ben-disposti a collaborare? Turismo o mobilità che sia, secondo me manca una politica organizzativa a monte. Se ci sono troppe risorse da cui attingere (ma anche troppe risorse a cui versare la propria segnalazione) i rischi evidenti sono la dispersione e la confusione. Sapete che sono un fan degli standard quando servono ad aiutare e a far risparmiare. Per questo, a mio avviso, il progetto Comunipertutti è diverso dagli altri: non è solo una bella idea, ma ha un metodo ferreo alle spalle perfetto per essere replicato e trasformato in standard. Ed è quello che, sempre a mio modesto parere, dovrebbe fare il Governo sui temi del sociale: prendere una posizione forte, rimboccarsi le maniche e darsi una mossa. E’ di oggi la notizia secondo la quale c’è pronto un miliardo di euro per incentivare le città intelligenti. Perché non destinarne immediatamente una fettina per allineare tutti i comuni italiani a questa practice? Non mettereste anche voi a disposizione la vostra responsabilità collaborativa se fosse possibile?

PS: Ah, il primo che mi viene a dire che “in fondo in fondo, sì ma, però, ecco” l’Alto Adige non è proprio l’Italia lo mando a mangiare i migliori spaghetti alle vongole mai provati in vita mia. Dove? Ma in Val Gardena ovviamente.

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