DegiovanimentoLa perversa disconnessione tra paga e lavoro (a danno dei giovani)

Questa è la strana storia di una famiglia nella quale c’è una persona che lavora e una che riceve una retribuzione. Quanto basta per non precipitare in condizione di povertà e resistere, seppur con...

Questa è la strana storia di una famiglia nella quale c’è una persona che lavora e una che riceve una retribuzione. Quanto basta per non precipitare in condizione di povertà e resistere, seppur con difficoltà, alla crisi. Tutto bene quindi? Mica tanto. Il fatto curioso di questa famiglia è che chi lavora e chi porta a casa i soldi non sono la stessa persona. Quello che non lavora è il padre cinquantenne, che però gode dei benefici dell’unico welfare che finora di fatto funziona in Italia, si trova cioè in cassaintegrazione. Chi non percepisce alcuna remunerazione è invece il figlio venticinquenne, che però fa uno stage che di fatto è un lavoro, nel senso che l’azienda fa utili grazie all’attività che svolge. Non prende quindi un accidente, ma gode dell’unico welfare che finora ha funzionato per i giovani italiani, ovvero l’aiuto e l’ospitalità della famiglia di origine.

Una situazione schizofrenica no? Eppure per nulla rara in Italia. Tiene, ma i conti non tornano. Come può utilizzare al meglio il suo capitale umano e crescere un paese che eroga il peggio dell’assistenza passiva, da un lato, e il peggio del riconoscimento del lavoro svolto, dall’altro? La mancanza di politiche attive e di un salario minimo hanno creato una disconnessione tra lavoro e suo valore dal quale abbiamo tutti da perdere e sicuramente frustra e deprime l’autonomia, l’intraprendenza e la voglia di fare dei giovani.

L’esempio fatto è una estremizzazione, ma in generale i più produttivi sono i giovani, che però più facilmente hanno lavori precari e malpagati. Vivono quindi nella casa dei maturi genitori, i quali rendono di meno per il sistema produttivo ma hanno una remunerazione o una pensione maggiore rispetto allo stipendio o al rimborso spese del figlio.

Recentemente un mio bravo collega ricercatore universitario a tempo determinato (scientificamente più produttivo della media dei professori ordinari) mi ha detto che è andato a comperarsi un’auto, pagando la metà in contanti e chiedendo un finanziamento per il resto. Si trattava di poche migliaia di euro. La risposta che ha avuto è stata: “torna con la busta paga di tuo padre”. Lascio a voi immaginare come si è sentito…

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