In mezzo alle bufere di neve qualcuno ha per caso notizie dei cosiddetti “smart traveller”? Io ne ho incontrati due alle partenze intercontinentali di Roma Fiumicino. C’è da chiedersi cosa ci facessero qui visto che la saletta VIP era lì dietro a pochi passi. Forse si erano persi la Freccia Alata. La presenza di esseri naturalmente alati dentro la lounge del nostro aeroporto di Bandiera se da un lato ha tutta una sua ragione d’essere (volano, dove altro dovrebbero stare se non in un aeroporto?) dall’altro è un segno dei tempi. Un segno lungo almeno trent’anni e che inizia a sfocare appena finito il boom degli Anni Ruggenti, metafora un po’ di tutto il Paese. Sono passati i Caravelle e i 707, è decollato il 747 ed è atterrato – definitivamente – il Concorde. Si è librato l’A380 e hanno preso il volo i materiali compositi a bordo dello Streamliner, ma gli aeroporti italiani sono e restano degli spazi di terra non identificati. E sì che il Paese del Bello e del Design qualche occasione l’ha pure avuta. Malpensa ad esempio.
Ci mancherebbe reiterare oggi tangenti, politica, strategie, hub, Alitalia, Lega, Moratti. Abbiamo altri problemi. Come spesso accade, però, tutto quell’arrosto ha fatto anche parecchio fumo fino a nascondere il puro aspetto funzionale: l’aeroporto, strategico o meno, c’è e quindi ci sono anche i viaggiatori e la loro esperienza. Bagni, colori, segnaletica, quella sensazione di comfort fisico e psicologico fatto da materiali, luci, quella sensazione che si ha quando ci si sente considerati in quanto fruitori di quello spazio. Ci sono regole di design che il mondo degli addetti ai lavori conosce da sempre. Sono regole e codici che hanno un linguaggio comune persino nelle nostre Archistar (ma solo quando progettano all’estero). In un Paese capace di celebrare i propri guru senza pudore ci siamo accorti tutti subito, fin dal primo giorno che abbiamo messo piede a Malpensa nell’anno 2000, che c’era qualcosa di profondamente sbagliato. Perché questo aeroporto era così dichiaratamente diverso dagli altri e al tempo stesso così anonimo da non lasciare nemmeno un ricordo?
Ho riesumato online una delle tante recensioni nel nome del guru (che grande designer resta, ma chiaramente di oggetti e chiaramente il progetto di Malpensa era qualcosa al di sopra delle sue possibilità in quella fase di età): “l’architettura di Sottsass corrisponde al pulsare delle funzioni vitali. La sua opera capitale (sic) lo conferma: Malpensa 2000 è un luogo fatto di materiali antiriflettenti e fonoassorbenti, colori naturali e disegni lineari. Un sito pensato per restituire la quieta identità mediterranea e comunicare l’idea di una Italia “non affannata, non presuntuosa ma dedita ad una cultura dell’uomo. Un aeroporto inteso come spazio-pausa di raccoglimento piuttosto che luogo di fredda celebrazione di società ipertecnologizzate, veloci e sature di stress.”
I materiali antiriflettenti e fonoassorbenti danno l’impressione a chi transita di essere dentro a un pezzo di tofu, incluso l’afrore. I colori si traducono nell’assenza di luce. La quieta identità mediterranea resta un mistero: mi viene in mente l’immagine di tutti noi coi pinocchietti e la canotta a righe blu orizzontali che tiriamo a riva le reti. E quell’Italia non affannata dedita alla cultura dell’uomo. Che fine ha fatto? Si celebrava forse un certo fancazzismo latino alla “vabbuò”? Già allora (ma da sempre che diamine!) l’architettura degli aeroporti ha nel vetro e nell’acciaio i sui materiali simbolo: l’acciaio richiamo all’alluminio delle fusoliere, il vetro spazio aperto verso il cielo. Sogni e trasparenza, messico e nuvole. Il volo dell’uomo è un mito su cui avevamo pure una certa primogenitura (chiedere a Leo e a Marinetti), avventura, libertà, velocità, funzionalità, dinamicità associata al comfort. I viaggiatori si aspettano quello, così come si aspettano del pane in panetteria. E invece, sempre un passo avanti, sempre creativi, pretendevamo lo spazio pausa di raccoglimento (raccomando il raccoglimento tra una cancellazione e un ritardo: ci fossero riusciti poi, come invece secondo me hanno saputo fare all’aeroporto di Venezia dove hanno declinato senso di cura, calore e funzionalità. Malpensa ricorda le più tristi mense aziendali da dove non vedi l’ora di fuggire). E poi…non fredda celebrazione di società ipertecnolocizzate veloci e sature di stress. Che visione (eravamo nel 2000, vi dice niente l’anno?): io una telefona a McLuhan l’avrei fatta prima di procedere col progetto. Sono sicuro che Marshall gli avrebbe detto che i viaggiatori dell’era digitale avrebbero fatto la fila per rilassarsi un po’ a Malpensa con quelle belle cornici verde scuro, con quei pavimenti di finta graniglia milanese (pure su questo hanno scritto saggi imperdibili), quella grafica preistorica senza qualche presa di corrente pubblica anziché sponsorizzata dalla Samsung.
Fin qui tutte considerazioni soggettive, può non piacere al di là del fatto che costruito solo 12 anni fa, a vederlo oggi, sembra risalire a un epoca indefinita che risente ancora del Craxismo. A parte il gusto il progetto presenta delle trappole funzionali micidiali, degli errori di rilevamento che chissà come hanno fatto a mandare giù alle varie commissioni, povero Sottsass (e chi ha lavorato con lui) che cosa ha dovuto pure lui sopportare: una su tutte quella che io chiamo la Streiff degli arrivi. Perché quando sbarcate da uno dei satelliti poi dovete tornare verso il corpo centrale dell’aeroporto per arrivare al ritiro bagagli e per farlo vi tocca passare attraverso un ponte di collegamento che ha un angolo acuto (così fatto per far passare sotto i mezzi) e una volta arrivati a fatica in cima (a scaletta o a spina di pesce dipende dallo stile che preferite) vi trovate diretti sullo schuss finale di Kitzbuel. Ho visto almeno due volte signore di una certa età piombare verso il traguardo della valigia che nemmeno il miglior Klammer.
La Malpensa, come sparare sulla Croce Rossa e vabbuò. Fiumicino ha i piccioni nella hall, c’è da dire altro? Genova ha la moquette lavata l’ultima volta direttamente mentre Mazzini pianifcava i moti. A Brindisi se vi portate un pallone potete giocare in pista. A Palermo il gioco invece è: dove sono le partenze? Napoli l’hanno appena rifatto: provate a capire dove dovete andare a prendere la macchina che avete appena noleggiato, stessa cosa a Bari: la distanza tra il parcheggio e l’aerostazione è la stessa che c’è tra l’aerostazione e casa vostra (se abitate ad Aosta). Alghero ti fa sentire parte di una sagra del sughero. Vorrei concludere con Albenga, l’aeroporto pieghevole che, a differenza di Cuneo, non ha più un ex-ministro che lo frequenta. Da quando Scajola frequenta meno Roma, l’aeroporto non serve più i voli di linea: lo pieghi e lo metti via, fino alla prossima legislatura.