Stavolta, è il caso di dire, si cambia musica, e si è costretti a toccare dolenti note. Sul Corriere della Sera del 10 febbraio scorso, un pungente articolo di Gian Antonio Stella ricorda a tutti la vicenda, che per eufemismo si può definire imbarazzante, di Luigi Frati, Rettore della “Sapienza” di Roma (cioè dell’Università dove, come molti altri docenti, mi dibatto tra mille difficoltà, non tutte sublimi, come il riscaldamento assente o mal funzionante nei trascorsi giorni di freddo intenso, e altre che non registro per non tediare chi dovesse eventualmente scorrere queste righe). L’articolo fa arrossire perché ciò che in esso si narra è tutto vero; e naturalmente si incarica di ricordare allo stupefatto lettore le gesta non irreprensibili del personaggio, a cominciare dalle sue uscite pubbliche, condite da un linguaggio incompatibile non si dice con la carica, ma con la normale buona educazione (a parte qualche scampolo riportato nel succitato articolo, chi vuole averne un assaggio faccia una semplice ricerca su Google); per finire con la sua disinvoltura operativa, esplicitatasi in una serie mirabolante di chiamate, nella medesima Università da lui governata, di moglie, figlia e figlio (ciliegina sulla torta, il brindisi per le nozze della figlia, di cui Stella riporta il tristemente indimenticabile biglietto di invito).
Si aggiunga che il giornalista, in modo elegantemente allusivo, ma che non lascia dubbî in proposito, lega simili comportamenti alla qualifica sempre più bassa ottenuta dalla “Sapienza” nei giudizî internazionali. Ora, essendo io, sia pur indegnamente, del mestiere, so bene che a tali qualifiche non bisogna prestare fede assoluta; ma altrettanto so che un filtro decisivo è costituito dall’applicazione dei principî di merito e di trasparenza. Ammettiamo pure, con una sovrumana, se non stolida, buona volontà, che il primo sia stato rispettato, ma il secondo è, more italico, indubitabilmente calpestato. Né Frati è solo in tali gesta; il Rettore ricorda da vicino l’ex ministro Gelmini, altro esimio rappresentante del merito, pescata (a non citare altri episodî a tutti noti), con le mani nella marmellata in una documentata occasione (il famoso esame di abilitazione all’avvocatura di Reggio Calabria, sul quale lo stesso Stella e altri giornalisti a suo tempo hanno fatto luce), e rimasta imperterrita in una carica di cui non era manifestamente all’altezza.
Ora, Stella ha tutte le possibilità di fare della (feroce ed elegante) ironia. Ma chi vive nella stessa Università dove insegna Frati, purtroppo, ha perso da tempo la forza di esercitare quella salutare pratica, e si trova indebitamente accomunato a un costume esiziale, pur rifiutandolo con ogni suo atteggiamento. Garantisco che sono molti a sentire come me, ma non c’è verso; la collettività giudicante di ogni erba fa un fascio. Bene, a nome mio e di quei molti, vorrei dire che solo con un gesto nobile, quello delle dimissioni dalla carica, si potrebbe porre un argine a simili obbrobrî. Si capisce che si tratta di pio desiderio.
In ultimo, una postilla. Al momento della chiamata alla “Sapienza” del figlio di Frati (oltre un anno fa), inviai sia a Stella che a Corrado Augias, di Repubblica, una lettera di forte protesta, naturalmente firmata; non potevo certo pretendere che, in mezzo a chissà quante, venisse pubblicata. Ma tanto sia detto perché non si pensi che l’indignazione di chi scrive sia nata oggi, e non si creda che i docenti universitarî, non essendo appunto chi scrive l’unico a manifestare pubblicamente disagio, siano tutti silenziosi complici.
P. S. Ero a Berlino per tenere un seminario alla Freie Universität nei giorni in cui il Presidente tedesco Christian Wulff ha rassegnato le sue dimissioni, e ho potuto ascoltare alla televisione il suo discorso. Quattro minuti scarsi, commentati dalle giornaliste televisive in meno di due. Semplicemente, un atto dovuto. Non occorrono commenti; né c’è una virgola da aggiungere o togliere al mirabile intervento di Barbara Spinelli sulla Repubblica di ieri, 18 febbraio.
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