Era il 1959 e Bruno Martino cantava: “Nel duemila noi non mangeremo più, né bistecche, né spaghetti col ragù, prenderemo quattro pillole e con gran semplicità la fame sparirà”. Cantava anche: “Nel duemila, ogni cosa cambierà, ma l’amore, senza pillole sarà”. In entrambi i casi si era sbagliato.
Di lì a poco Gagarin sarebbe volato nello spazio e, se gli astronauti incarnavano l’uomo del futuro, era abbastanza logico pensare che anche il nostro menù si sarebbe ridotto a cibo liofilizzato e pillole vitaminiche.
La cucina era materia da economia domestica ed era difficile figurarsi che cinquant’anni dopo chef mediatici ci avrebbero insegnato da ogni canale tivù a sfidare la gravità con torte multipiano o sfidarsi tra loro con un arrosto. Era difficile immaginare che il cibo nei paesi che possono permettersi di pensare non sia strettamente una necessità, sarebbe diventato un piacere così ricercato e avrebbe finito con l’avere nuovamente come ingredienti, nascosti ma non meno importanti, fattori economici, ambientali, sociali, culturali.
2012, una sera come questa, in tivù danno la cerimonia dei Golden Globes. La signora Rossi mette in tavola con parsimonioso orgoglio i broccoli coltivati in terrazzo (buon senso, più che guerrilla gardening), che fanno pendant con un red carpet, diventato green da quando lo calcano star che in abiti eco compatibili si proclamano sostenitrici di menù assolutamente vegani e local. Forse la signora Rossi non sa esattamente cosa significhi vegano, ma sa che la verdura fa bene e da consumatore-tipo che rappresenta il 50% della popolazione occidentale, mette d’accordo i limiti del portafoglio con le esigenze di una dieta sana per sé e famiglia, comprando un po’ meno (-0,1% rispetto al 2010) e cambiando abitudini.
La signora Rossi infatti:
ha ripreso a fare la spesa in centro, anziché negli ipermercati (-2,7% le vendite del 2011), da quando ha scoperto che qui ci sono i Farmers Market (il mercato dei contadini, signora Rossi) e che le zucchine coltivate appena fuori città costano meno di quelle di importazione, ora che i trasporti sono diventati così cari;
ha ricominciato a cucinare comfort food (quello che fa bene all’animo e che “sa di casa”, signora Rossi, tipo il minestrone), che poi è anche sano e nutriente;
frequenta gli hard discount senza vergognarsi di quell’ “hard” (31% di risparmio medio rispetto ai supermercati e 27% rispetto agli ipermercati). Come lei in tanti, se qui le vendite sono aumentate dell’1,5% rispetto al 2010.
ogni tanto si gratifica con un regalo gourmet (non il caviale, ma qualcosa da tutti i giorni, però di qualità sopraffina) infilandosi in una mecca del gusto tipo Eataly, come se andasse a colazione da Tiffany.
In tempi di incertezza la signora fa col cibo quel che fa con la moda: mixa vecchio e nuovo, cheap e chic. Lo spread scende e le torna il coraggio di osare, ma poi risale a allora meglio infilarsi il tailleur di qualche anno fa e cucinare una rassicurante pasta e fagioli.